22 feb 2014

Il fischio

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Non era uno squillo di un cellulare. 
No, assolutamente no! E nemmeno esisteva.
Associo quel tempo ai telefoni con la rotella che dovevi aspettare che si completasse a ritroso il giro prima di fare l'altro numero.
Associo quel tempo alle che cabine a gettoni, quelli marroni e con 2 strisce su una faccia e 1 sull'altra. E che con un gettone ci stavi le ore chiuso in quella cabina. E che non dovevi fare neanche il prefisso se chiamavi in provincia. E  che quando si componeva un prefisso allora significava che era una telefonata importante a qualcuno lontano.
No! Non era il tempo delle suonerie e dei cellulari. Era il tempo dei telefoni a disco e delle cabine a gettone.
Era anche il tempo dei fischi.
E c'era un momento della giornata in cui l'aria si riempiva di fischi.
Era la sera e i padri appena rientrati non trovando i figli in casa uscivano sull'uscio e prendendo fiato fischiavano. 
Era il richiamo. 
Ogni famiglia aveva un fischio, un richiamo. 
E le strade riecheggiavano di questi fischi, brevi e intensi. E non si confondevano, anzi sembravano darsi forza l'un l'altro. Oggi come allora, non riesco a spiegarmi come il fischio potesse penetrare tutti i suoni, il vociare e l'urlare giocoso. 
Però, come per magia, ognuno di noi riconosceva il proprio fischio e,  lasciando quello che stava facendo con i propri amici, rientrava a casa. Sapevamo benissimo che ai richiami della madre si poteva far finta di niente,ma al al fischio del padre no! Il fischio di famiglia non si poteva ignorare. Sono quelle regole non scritte che impari subito da bambino.
Ogni tanto oggi, dopo tanti anni, sono io che fischio. E c'è una bambina che si gira e viene verso di me.

Un ritratto di famiglia e mio fratello,  Ernest Hemingway, ed. italiana 2013
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