1 nov 2010

La cooperazione in Basilicata dalle origini alla Riforma Agraria

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La cooperazione in Italia è nata 150 anni in ritardo rispetto al resto d’Europa.  La prima cooperativa di consumo nasce a Torino nel 1854, promossa dagli operai;  la prima cooperativa di lavoro, invece, nasce  ad Altare, in provincia di Savona, ad opera di alcuni vetrai.
L’esperienza cooperativa cominciò a radicarsi in Basilicata agli inizi del Novecento con la costituzione a Banzi, Montemilone e a Forenza di cooperative contadine di gestione delle quote di terreni demaniali occupate e poi assegnate.
Nello stesso periodo, a Lavello, una cooperativa di produzione e lavoro “ La Conquista”, conclusa con un proprietario privato un contratto di
affittanza collettiva di un vigneto olivetato. A Potenza e a Pignola, le rispettive leghe dei contadini associarono piccoli proprietari di fondi rustici in cooperative per l’acquisto di mezzi tecnici. Con lo stesso fine sorsero due consorzi agrari a Tramutola e a Marsiconuovo
Nel 1907 si costituì in forma cooperativa il “ sindacato agrario lucano”, la più importante cooperativa del potentino, in cui erano raggruppati i maggiori esponenti  del mondo agricolo più aperti all’innovazione, inclusi Ettore Ciccotti e Decio Severini che tanta parte hanno avuto nello sviluppo delle cooperazioni nelle campagne lucane. Cooperative di consumo e nel settore dell’edilizia sorsero nel melfese per iniziativa dei socialisti e dei cattolici, che costruirono i loro legami di massa non solo attraverso la gestione dei poteri locali e la costruzioni di leghe sindacali ma anche mediante la tessitura di una rete associativa. 
La posta in gioco nella costruzione della cooperazione  era, infatti, quella di alterare un modello di potere attestato su rigide relazioni personali per aprire le campagne alle istituzioni, ai tecnici, alle professioni, alle mediazioni della città. Nel 1915 si contavano 11 casse rurali, distribuite nel Melfese e nel Materano, e 15 cooperative per lo più collocate nella provincia di Potenza.  La maggior parte di queste aggregazioni  si era organizzata nella Federazione lucana delle  cooperative, la cui struttura comprendeva un ufficio di progettazione, assistenza  creditizia e formazione per i cooperatori, oltre che sezioni  specializzate per l’agricoltura e il consumo.
Nel  1919 essa aderì alla Legacoop Nazionale. Nel 1922 le cooperative di consumo diventarono 128, con oltre 20 mila soci e un capitale sociale di 450 mila lire; quelle di produzione e lavoro 32, specializzate soprattutto nel campo dell’edilizia e delle opere pubbliche.
Ma proprio nella fase di maggiore espansione si ruppe, purtroppo, l’unità tra i socialisti e i cattolici, che costituirono una loro Unione provinciale delle cooperative di consumo. 
L’alto livello di politicizzazione del tempo riversava, infatti, sul movimento cooperativo questioni teoriche e pratiche non di breve momento, che riguardavano non solo contrasti di schieramento tra riformisti, massimalisti e cattolici ma anche la natura, i compiti e le prospettive della cooperazione. E tali divisioni, insieme alla sconfitta di Nitti e alla crisi lacerante dei socialisti, determinarono le premesse politiche per l’isolamento del movimento e l’irruzione della repressione prefettizia e della reazione fascista. Furono così un po’ alla volta  revocate licenze e autorizzazioni alle cooperative, vennero chiusi spacci e sciolti consigli di amministrazione. 
Si dovettero attendere i decreti Gullo sulla concessione delle terre incolte per tornare a vedere , nel secondo dopoguerra, uno sviluppo della cooperazione agricola nella campagne lucane con basi di massa.  I contadini si impegnarono  in tali cooperative principalmente per coltivare pezzi di terra e sfamarsi, prima ancora che per gestirli impreditorialmente . 
Concepita, infatti, solo come riposta immediata ai bisogni elementari  e, insieme, strumento di mobilitazione politica., l’esperienza cooperativa non si poté assestare. Rimarranno in vita solo alcune esperienze più solide che non ebbero collegamento con l’occupazione delle terre. A Lavello era stata ricostituita la cooperativa per la gestione dell’oleificio sociale. Prima del fascismo, come abbiamo ricordato, si chiamava la” La Conquista”;  la nuova denominazione sarà ora “La Riconquista”, che riuscirà a svilupparsi  ed a rimanere in attività fino ai giorni nostri. Al di là dell’agricoltura, si costituiranno la cooperativa di produzione e lavoro “Lavoratori Valsinnesi” , operante nel comparto delle costruzioni e con sede a Valsinni, e alcuni spacci di consumo sorti ad Irsina e a Terzo Cavone, in agro di Montalbano jonico. La prima sopravviverà, fino agli anni ’90, le altre parteciperanno ad una costruzione di una rete più ampia di cooperative di consumo nel Materano.   E quando la Legacoop Nazionale, su sollecitazione di Giorgio Amendola, costituì nel 1949 un Ufficio  meridionale,  era già troppo tardi per tentare un recupero: non si riuscì a garantire la sopravvivenza dell’insieme di  quelle esperienze. Tuttavia, con quella straordinaria mobilitazione, il mondo contadino lucano conobbe, per la prima volta in modo diffuso, le modalità della libera organizzazione politica, sindacale e cooperativa. Guidarono le lotte decine di intellettuali, professionisti ed artigiani, che dirigevano i nuovi partiti di massa: la Democrazia Cristiana, i partiti Comunista e Socialista.
Erano gli stessi partiti che formarono, tra il 1944 e il 1947, i governi di unità antifascista.  Si realizzò in quell’occasione una novità rilevante: lo stato, in modo aperto e visibile, si pose in sintonia con le esigenze del mondo contadino, nello stesso tempo , i ceti popolari delle campagne manifestarono una crescente  fiducia nei pubblici poteri. La democrazia si venne così ad arricchire della partecipazione dei  contadini, che erano rimasti ai margini della vita democratica anche prima della dittatura fascista. La democrazia pluralista dei giorni nostri non sarebbe quella che è senza l’ingresso dei quelle masse nella lotta politica e senza che esse avessero e bisogni nuovi  da soddisfare. 
Dopo la rottura tra la DC e i partiti della sinistra come conseguenza dell’avvio della “guerra fredda” a livello internazionale, in alcune delle iniziative di lotta , non solo nelle campagne lucane,  alla fine del 1949, la polizia sparò sui manifestanti  e alcuni contadini morirono. 
Per la prima volta l’intera opinione pubblica rimase scossa da tali episodi di gratuita violenza ai danni  di una categoria considerata marginale nel contesto sociale. Fu così che il governo varò nel corso del 1950  una serie di provvedimenti per attuare la riforma agraria in alcune aree del  paese, tra cui la Basilicata. La riforma sancì la fine delle grandi aristocrazie terriere che, in verità già sopravvivevano a se stesse e non avevano più  il potere esercitato in passato.  Permise ad un numero considerevole di famiglie contadine di coronare il sogno di possedere un fondo da cui ricavare un reddito sufficiente. In sostanza, aprì la strada a nuovi gruppi sociali e a nuove classi dirigenti. Anche la cooperazione vide una fase di espansione per iniziativa dell’Ente di Riforma Fondiaria, che promosse diverse cooperative di primo grado tra gli assegnatari, specializzatesi in seguito nei settori vitivinicoli, lattiero-caseario e oleario. Nel 1963, le cooperative costituite nell’intero comprensorio di Riforma di Puglia-Lucania e Molise erano 249, di cui 153 a scopi plurimi o di servizio e 96 specializzate.  In provincia di Matera le prime due cooperative dell’Ente Riforma furono costituite nel 1954, un in agri di Matera , quella di “ La Martella” e l’altra nel Metapontino a Terzo Cavone. 
Alla fine del 1957, le cooperative di servizio in provincia di Matera erano 32 per 3441 soci e un capitale di 32 milioni di lire. Notevole sviluppo ebbero le associazioni mutualistiche, che operavano soprattutto nel settore zootecnico. Il problema dell’assicurazione contro la mortalità del bestiame risultava necessaria ai fini della garanzia per il credito procurato dall’Ente di Riforma per l’acquisto del bestiame.  In provincia di Matera furono costituite 10 Mutue Bestiame per un numero medi complessivo annuo di capi assicurati pari a circa 2000 bovini e qualche centinaio di equini. Per quanto riguarda le cooperative specializzate, vennero costituite inizialmente la cooperativa ”Metapontina” per lo sviluppo della zootecnia e fecondazione artificiale con sede a Scanzano jonico,  l’oleificio sociale di Policoro,  la cantina e  l’oleificio sociale di  Metaponto, le centrali del latte di Matera e di Terzo Cavone, il consorzio ortofrutticolo di Metaponto che ebbe come soci fondatori oltre l’Ente di Riforma, la Camera di commercio di Matera, il consorzio di Bonifica di Metaponto e 13 cooperative di servizi collettivi tra gli assegnatari. Ma di questi processi sociali fortemente innovativi la sinistra non seppe avvantaggiarsi.  
Pur avendo guidato il movimento per ottenere la riforma, essa commise l’errore di votare contro queste leggi. Non comprese la portata dei provvedimenti che avrebbero arrecato di li a poco modifiche profonde all’intera struttura produttiva nazionale. Quel “colpo d’ariete” avrebbe avviato, infatti, l’industrializzazione del Paese e l’innesto sulla proprietà diffusa della terra di una agricoltura moderna, come due facce della stessa medaglia.  La riforma agraria fu così gestita sotto il controllo della DC contro la sinistra. I socialisti e i comunisti quasi a sminuire la portata dell’operazione che si stava compiendo e a denunciare l’uso politico che ne veniva fatto dal partito di maggioranza relativa. La contrapposizione tra i partiti, acuita dalla logica ferrea della guerra fredda, dette vita ad appartenenze separate anche nelle campagne.
Le divisioni politiche impedirono ai contadini di accompagnare la propria evoluzione imprenditoriale con un crescita di peso sociale, non potendosi dotare anche di autonome strutture di rappresentanza. Fu principalmente per questo motivo che nel Paese, e non solo in Basilicata, la riforma agraria non venne vissuta come un fattore di identificazione nazionale.
Tale limite peserà successivamente nella percezione culturale che la società italiana avrà dell’agricoltura  e dei contadini. Resteranno intatte le interpretazioni stereotipate della riforma utilizzate dei partiti  nelle accese polemiche politiche di quegli anni.  I suoi risultati saranno enfatizzati o svalutati a seconda delle convenienze. E si chiuderanno colpevolmente gli occhi sulla realtà che nel frattempo andava trasformandosi : un’agricoltura che si modernizzava e contadini che diventavano imprenditori professionalmente agguerriti. Un risultato straordinario  da scrivere allo sforzo eccezionale di una nazione che aveva impegnato risorse ingenti. Un esito non scontato che si sarebbe dovuto conservare con qualche punta di orgoglio nella memoria storica e nelle immagini letterarie e cinematografiche come era avvenuto in tutti gli altri Paesi sviluppati. Se si guarda fuori dall’Italia si può facilmente notare che l’accesso alle terra è storicamente alla base delle democrazie occidentali: proprietà coltivatrice singola o liberamente associata in cooperative e ordinamento repubblicano sono state le stesse  facce della stessa identità nazionale. Da noi tutto questo non è potuto avvenire perché la riforma agraria non è stata realizzata in un clima di estesa e  serena condivisione, che non avrebbe svilito affatto la normale dialettica che deve sempre intercorrere tra maggioranza a e opposizione. Tuttavia, sia i partiti di governo che quelli di opposizione non compresero che la proprietà diffusa avrebbe potuto mettere a frutto tutta la sua carica dirompente se non fosse rimasta ancorata al mero concetto di possesso, di “avere la terra”, ma avesse favorito un rapporto tra bene terra e gestione. In altre parole, non si trovò da parte di tutti i la forza di distaccare la figura dell’imprenditore agricolo da quella proprietario o possessore. Sicchè, l’intervento pubblico di quegli anni realizzò nelle campagne lucane un sistema di aziende familiari,  ma senza potenziarne , anche attraverso uno sviluppo della cooperazione la capacità economica e concorrenziale indispensabile a creare una presenza sul m ercato che non fosse quello autarchico dei decenni precedenti.
 
Fonte: Legacoop Basilicata, un percorso lungo trent’anni, 2008
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