21 dic 2009

I Cavalieri e la Basilicata

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2 dic 2009

La Madonna della Montagna

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Agli inizi di luglio pellegrini provenienti da Terranova di Pollino, San Severino Lucano, Rotonda, Viggianello, Cerchiara di Calabria, Cassano Ionio, Castrovillari, Amendolara, Alessandria del Carretto si recano al Santuario della Madonna del Pollino, situato ai confini tra Calabria e Lucania. Dopo il viaggio i fedeli si accampano nei pressi della chiesa e per oltre due giorni pregano, banchettano, ballano e cantano. La Madonna della montagna (1997) di Giovanni Sole e Gianfranco Donadio, documenta interessanti aspetti etnografici del pellegrinaggio alla Madonna di Pollino. UNICAL Share

30 ott 2009

Il rito della Spina o Battesimo della Spina

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Foto da EZUM VALGEMON
Il battesimo della spina

 “Il passaggio della spina”
Esplosione di devozione ed attaccamento filiale alla Madonna è il cosiddetto “Passaggio della Spina”, praticato il 25 Marzo e il Lunedì di Pasqua. E’ un rito propiziatorio, diffusosi a Baragiano intorno al XV sec. , sopravvivenza forse di antichi culti agresti , praticato all’inizio della primavera.
Può avere origini albanesi oppure aver tratto modello dall’area pugliese (questa usanza si incontra a BARILE- GINESTRA-MASCHITO).  
"...Al contrario, resistono al tempo molti riti tradizionali, le feste patronali, la liturgia bizantina, culti popolari arborei (recentemente l'Anspi di Barile ha rivitalizzato "il passaggio della spina" "shkuar nga drizet" presso la seicentesca Chiesa agreste di Costantinopoli." (1)
I protagonisti del rito sono i bambini nell’età compresa dai due ai dieci anni che i genitori intendono mettere sotto la protezione della Madonna. La cerimonia si svolge per tre anni consecutivi e consiste nel far passare i bambini nudi sotto un arco di spine, “la scocca” preparata precedentemente, dalle mani di un uomo a quelle di una donna che fungono da padrino e madrina, quando suona la campanella preannunciare che nella cappella dell’Annunziata ha luogo l’Elevazione.
Il bimbo viene passato sotto la spina per sei volte, tre con l’addome in su e tre con l’addome in giù,mentre il compare dice “teh, cummà” e la comara risponde “Mo, cumpà”. Al termine del rito i bambini, avvolti in un lenzuolo, vengono condotti in chiesa per essere rivestiti ai piedi della Madonna e invocare la benedizione. E’ cura poi dei partecipanti di innestare le spine che sono servite per formare l’arco proteggendole con muschio e corteccia di arboscelli, nella credenza che, in caso di attecchimento, la vita del bambino sarebbe assente da malumori, in coso di mancata presa, si verificherebbe il contrario. Dallo svolgimento della cerimonia si evince la commistione tra elementi ecclesiali e pagani, e fu proprio il profilo superstizioso della tradizione a provocare l’intervento dell’autorità ecclesiale che più volte volle mettere i fedeli in guardia dal prestarsi a simili pratiche che oltre a mettere in pericolo la salute dei bambini, producevano subbuglio in chiesa. Il primo intervento venne dal vescovo di Potenza Ignazio Maroldo nel 1890. Successivamente si chiese addirittura l’intervento della forza pubblica per impedire questa forma di devozione. Nonostante gli impedimenti il rito continua ad essere praticato, sia pure con più cautela, introducendo l’usanza di benedire i bambini alla sera nella cappella dell’Annunziata. E’ vero però che qualche bambino al mattino “si passa” e alla sera riceve la benedizione. L’usanza del “passaggio” non è dunque ancora del tutto sradicata. Altra descrizione di quel che avviene a Baragiano è questa: La sera di Pasqua... "la statua della Vergine viene portata in processione in spalle alla cappella dell’Annunziata dove rimane sino al 25 marzo dell’anno successivo. Durante la festa si svolge il rito del passaggio della spina. Lungo la strada detta Fontanella, nei pressi del santuario, ogni fedele sceglie un rovo, lo spacca a metà e attende il brillio del mortaretto che annuncia lo svolgimento in chiesa dell’Elevazione. A questo punto il padrino e la madrina fanno passare attraverso un arco di spine il figlioccio prescelto per suggellare il rito di comparatico".(2)
Comunque al di là delle descrizioni giunte Il passaggio della spina, ha origini iraniche, e non albanesi, esauritosi nll'altipiano dell' Iran, è sopravvissuto a lungo nelle aree balcaniche e slave. Gli arabi lo abolirono in Sicilia perchè lo trovarono osceno
La foto indica una variante, anzichè far passar il fanciullo sotto un arco, lo si fa attraversare in un ramo di rovi inciso a metà.
Fonte:
http://www.icbaragiano.it/progetti/PARTE%20II_file/page0010.html http://maschito.altervista.org/maschito/paese/storia/insediamenti/index.htm http://www.facebook.com/photo.php?pid=376363&id=1072450701
http://www.ilcomuneinforma.it/viaggi/3787/festa-della-madonna-di-costantinopoli/ http://forum.pizzicata.it/viewtopic.php?f=44&t=1432 http://www.basilicata.cc/lucania/baragiano/index0.htm
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17 ott 2009

La sorella italiana dell'Andalusia.

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Più della Calabria e, perchè no, anche maggiore della Sicilia: la Basilicata è la sorella italiana dell' Andalusia.
Punita per secoli a causa della sua povertà, la sua genta ha appreso dalla storia ad affrontare i problemi con l'umorismo e il sorriso sulle labbra.
I suoi campi odorano di macchia mediterranea, di pino, di terra bagnata col sudore del lavoro. Il suo clima mediterraneo, suoi ulivi, le sue montagne...
Se uno chiudesse gli occhi nella cordigliera Peniberica e li riaprisse tra queste terre continuerebbe a pensare di essere ancora in Andalusia.
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8 ott 2009

L'abicocca di Rotondella

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L'albicocco è una pianta originaria della Cina nordorientale, portato da Alessandro Magno dall’Armenia, da cui prese il nome botanico Prunus armeniaca, il seme dell'albicocca viene detto dell’armellina. I Romani la introdussero in Italia e in Grecia nel 70-60 a.C, ma la sua diffusione nel bacino del mediterraneo fu consolidata successivamente dagli arabi, infatti Albicocco deriva dalla parola araba Al-barquq, ridenominata in praecox, nel tardo latino nel senso di "precoce”, da qui anche il nome percoca.
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15 set 2009

Calendario astronomico preistorico

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Il complesso megalitico delle “Petre de la Mola” sul Monte Croccia è un sofisticato calendario di pietra preistorico. Un gruppo di ricerca interdisciplinare composto da archeologi, geofisici, geologi ed astronomi dell’Università degli Studi della Basilicata, della Faber Srl di Matera, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Università La “Sapienza” di Roma ha iniziato lo studio del complesso megalitico chiamato “Petre de la Mola”, non lontano dalla cima del Monte Croccia, nel Parco di Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane. (--->vedi foto del parco) Sofisticati rilevamenti, effettuati attraverso l’impiego delle più avanzate tecnologie attualmente in uso anche nel
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31 ago 2009

Matera- video anni 60

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Hanno tanti occhi. Rughe che tagliano il viso. Un’identità millenaria. Erano uomo e vita, intimo e quotidiano. I Sassi, dimora di uomini e del sacro, abbagliano per il biancore del tufo di cui sono fatti. Architettura e natura si sono compenetrate fino a confondersi e crearli. Aggirandosi tra questi antichissimi quartieri, tra vicoli e viuzze, patrimonio Unesco dal 1993, sembra di risentire l’eco delle voci della gente, della vita lenta ma produttiva, cristallizzando il tempo e lo spazio come in un’eterna attesa di rinascita... leggi tutto Straordinario materiale in pellicola! Film amatoriale in 8mm. a colori, girato nei Sassi di Matera, ambientato negli anni Sessanta. Filmato della Galleria Foma di Bernalda che mette a disposizione, a titolo gratuito, il film trasferito in DVD ad Enti ed Associazioni culturali interessati a divulgarne il filmato. Share

29 ago 2009

Metaponto- Tavole palatine 1963

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...Dei vari templi i resti più imponenti appartengono a quello dedicato alla dea Hera, con le sue quindici colonne meglio conosciute come “Tavole palatine”. Alle famose tavole dell’Heraion di Metaponto, oggi frazione del comune lucano di Bernalda, restano legate varie leggende che le collegano a Pitagora, all’imperatore Ottone II e agli invincibili paladini di Carlo Magno. continua ---> Questo straordinario materiale in pellicola amatoriale in 8mm. a colori, girato a Metaponto, ambientato negli anni Sessanta, costituisce una preziosa testimonianza ! Il video è opera di galleriaforma. Share

4 ago 2009

RADIO FRECCIA - CREDO, le parole di Ivan Benassi a Radio Raptus

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« Buonanotte.
Quì è Radio Raptus, e io sono Benassi - Ivan.
Forse lì c'è qualcuno che non dorme. Beh, comunque che ci siete oppure no io c'ho una cosa da dire.
Oggi ho avuto una discussione con un mio amico.
Lui è uno di quelli bravi: bravi a credere in quello cui gli dicono di credere.
Lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente.
Beh, non è vero: anch' io credo.
Credo nelle rovesciate di Bonimba e nei riff di Keith Richards;
credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole l'affitto ogni primo del mese;
credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi;
credo che un Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa;
credo che non sia tutto qua, però prima di credere in qualcos'altro bisogna fare i conti con quello che c'è qua, e allora mi sa che crederò primo o poi in qualche Dio;
credo che semmai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con 300.000£ al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto difficilmente cambieranno le cose;

credo che c'ho un buco grosso dentro ma anche che il Rock 'n' roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro e le stronzate con gli amici, beh, ogni tanto questo buco me lo riempiono;
credo che la voglia di scappare da un paese con 20.000 abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx;
credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri.
Credo che per credere, certi momenti, ti serve molta energia. » Share

16 lug 2009

Geografia emozionale e la Basilicata

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Può la Basilicata essere luogo di emozioni? In che senso i luoghi di questa terra hanno e danno emozioni? Si può definire un atlante delle emozioni?O addirittura mapparle? Una mappa è un insieme di luoghi e linee fisiche, con attinenza al reale comune e condiviso.
Tutti sanno dove andare e come fare per andare. La mappa delle emozioni è uno spazio non condiviso, solitario ma ugualmente condiviso da esperienze comuni. Una cartina fisica non ha bisogno di esperienze condivise
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8 lug 2009

Le Rabatane in Basilicata

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Le RABATANE in Basilicata 
Nel corso dei secoli IX e X da Bari, sede di un emirato arabo dall'847 all'871, gli Arabi si spinsero all'interno dell'Italia meridionale, quindi anche della Basilicata, per compiere saccheggi e catturare prigionieri da vendere come schiavi nei centri dell'impero islamico, in quel periodo in una fase di massima espansione. Secondo alcuni cronisti del tempo e secondo le fonti disponibili, gli stanziamenti arabi furono consistenti e di lunga durata in molti centri del medio bacino del Bradano e del Basento, nel Basso Potentino e nella Val d'Agri. Le numerose tracce architettoniche che ancora si possono leggere in molti centri storici e le tracce linguistiche nei dialetti locali, fanno ritenere che non si trattò esclusivamente di insediamenti militari, ma di vere e proprie comunità articolate, dove un ruolo di rilievo era svolto da mercanti ed artigiani. Senza entrare nel merito del fenomeno storico, gli Arabi impiantarono comunque dei veri presidi, ancora oggi leggibili in modo eclatante nel tessuto urbano. Si tratta di quartieri che la tradizione e le fonti scritte connotano come Rabatana, Rabata, Ravata richiamando il fascinoso ribàt maghrebino. Le tracce degli insediamenti arabi sono ancora perfettamente leggibili a Tursi, a Tricarico e a Pietrapertosa: si tratta di quartieri che la tradizione appella come Rabatana, Rabata o Ravata, richiamando etimologicamente il termine ribat, che in arabo significa luogo di sosta o anche posto fortificato. Sono per esempio ancora leggibili a Tricarico i due quartieri della Rabata e della Saracena, con le porte di accesso e le rispettive torri, risalenti all'XI secolo. L'abitato è diviso in due da una stretta strada principale, l'araba shari, da cui si dipartono le vie secondarie (darb), che si intrecciano tra loro e si concludono in vicoli ciechi (sucac), che definiscono unità di vicinato ben distinte l'una dall'altra; i singoli nuclei abitativi, spesso ipogei, se da un lato tendono a chiudersi in difesa rispetto all'esterno, dall'altro con questo comunicano attraverso i terrazzamenti degradanti, coltivati ad orti o a frutteto, disposti a corona lungo il perimetro del tessuto edilizio. La Rabatana di Tursi coincide con la parte più alta dell'abitato altomedievale, in ottima posizione difensiva. L'intrico edilizio che ancora caratterizza questo quartiere era dominato dalla presenza del castello, di cui attualmente restano poche tracce. La Rabatana è collegata al corpo del paese per mezzo di una strada ripida (in dialetto "a pitrizze" -ascolta-). L'antico borgo saraceno è indissolubilmente legato alla poesia dialettale di Albino Pierro. Anche il centro storico di Abriola, fondata dai saraceni, è cosmposto da strette stradine, vicoli e gradinate si insinuano in un tessuto edificato dalle chiare connotazioni di antico borgo medievale di origine araba, in cui sono ancora facilmente riconoscibili gli elementi tipologici stratificatisi nel tempo
Per saperne ancora: Pietrapertosa: la rabata Tricarico Tursi Il castello Arabo di Abriola: una leggenda inventata

Leggi anche:

Gli orti Saraceni di Tricarico e i quartieri arabi in Basilicata


Consiglio di leggere:
  • A.PELLETTIERI, “… et per Sarracenos casali S. Jacopi”: gli insediamenti islamici in Basilicata, in La Rabatana di Tursi. Catalogazione multimediale integrata dei Beni Culturali, a cura di C.D.FONSECA, ed. Altrimedia, Matera 2004, pp.15-27
  • Alle Origini dell'Europa Mediterranea
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6 lug 2009

Bella Italia- Basilicata

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Un viaggio di 5 minuti, ma che attraversa secoli e storie. Pochi minuti per salire sulle vette o immergersi nei fondali. Qualche minuto per percepire gli odori e sapori, per svelare paesaggi. Pochi minuti di buona Basilicata, quella che piace a noi!
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29 giu 2009

SASSI MATERA 2004 - INTERVALLO RAI anni '70

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Ancora una volta Matera e le sue meraviglie.

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26 giu 2009

Il mondo Inquinato dalla musica

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Ogni tanto mi concedo una divagazione dai temi o "concept" di questo blog. Ma in qualche modo, queste divagazioni seguono il pensiero di Tra Cielo e Mandarini. Il mondo inquinato dalla musica ci perseguita anche dal dentista. Umberto Eco: "Un'orribile new age dovunque, un bagno amniotico che svilisce l'arte" di CARLO MORETTI Ci perseguita ormai in tutti i luoghi pubblici. Non è più neanche possibile chiamarla musica: è piuttosto una marmellata sonora che si diffonde come un cancro con un pericoloso effetto di saturazione. L'allarme per quello che ha definito "un bagno amniotico" che svilisce la musica "e ci perseguita negli aeroporti, nei bar e nei ristoranti, negli ascensori, in un orribile stile New Age nello studio del fisioterapista", l'ha lanciato Umberto Eco nel numero in edicola de L'Espresso. "Come recuperare il dono della sordità?" conclude sconsolato lo scrittore. In Inghilterra danno consigli su come difendersi dalla musica non richiesta, dall'aural pollution, l'inquinamento acustico nei luoghi pubblici: sul sito nomuzak. co. uk offrono una lista di bar e ristoranti inglesi "music free". Evidentemente la misura è colma. Ne è convinto lo scrittore Valerio Magrelli: "Premetto che amo molto la musica, tutta, e ascolto sia rock sia classica, anche se penso che tra esse ci sia la differenza che corre tra la dama e gli scacchi. Il problema è l'uso che si fa della musica: perché è un dono quando viene scelta, ritengo sia invece criminale imporre la propria musica ad un altro. Viviamo in un'archeologia del rumore: ero in un ristorante del Sud e abbiamo chiesto di spegnere la tv. Il proprietario, gentile, lo ha fatto e abbiamo scoperto che in sottofondo c'era anche una radio. Ormai non ci si rende neanche più conto dell'inquinamento acustico in cui viviamo". Intanto l'industria corre ai ripari. Sono già pronte le casse ad ultrasuoni direzionali: sei lì seduto in una certa zona di un ufficio, o al tavolo del ristorante, e puoi ascoltare Bach anche a tutto volume perché intorno a te nessuno sente nulla, o magari ascoltano altro: sei tu la cassa che fa vibrare il suono, diffuso con la precisione millimetrica di un fascio di luce. Questa diavoleria tecnologica arriva dall'America, è stata inventata in ambito militare per parlarsi sulle grandi navi da guerra, e sta per essere commercializza in ambito civile anche in Italia dalla Skyrec, la società leader per la fornitura di radio e sonorizzazioni su misura per banche e grandi catene di negozi.
Ma riusciranno le casse ad ultrasuoni a mettere ordine nella marmellata sonora che ci avvolge? "Per noi è inquinamento acustico tutto ciò che non è fatto bene", ribatte alle critiche Emanuele Borri di Skyrec, 4 milioni di fatturato nel 2008, più di 20 milioni di ascoltatori alla settimana in 11 grandi catene commerciali. "Se si rispetta l'ambiente in cui la musica è diffusa, se è adeguata a chi la ascolta, se è musica di qualità, non può essere inquinamento" dice convinto il direttore del marketing strategico. Tra le agenzie di produzione musicale, le critiche suscitano perplessità: "Una musica appropriata può rendere più suggestivo un luogo, fissare il ricordo di ciò che vedi o stai facendo" dice Sonia Farinetti, consulente musicale di Flipper Music, da 40 anni sul mercato. Il musicista Riccardo Eberspacher, unico italiano nelle compilation Buddha Bar, è critico: "Attenti alla saturazione da lounge music. Il Buddah Bar è diverso, è chill out: punta allo stimolo, non alla noia". 26 giugno 2009 fonte Repubblica Share

22 giu 2009

Basilicata Eno gastronomica su Rai radio2

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Roberta Pellegatta in uno speciale di Radio Due sul Turismo Eno-gastronomico intervista Davide Paoloni, gastronauta e docente di turismo enogastronomico presso l'università di Parma. D: Qual'è il tuo itinerario enogastronomico? R: Sarebbe banale che rispondessi Toscana o Piemonte. Sono talmente noti. E invece dico la Basilicata, perchè è la terra delle grandi sorprese, poca conosciuta, tutta da scoprire, in ogni centimentro di quel territorio. E' una regione che cambia paesaggio a secondo delle stagioni... ...si trova un cibo ancora vero, si trova un vino ancora vero... L'intervista integrale è possibile seguirla cliccando sul video. Share

9 giu 2009

La Passione Del Grano

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8 marzo 1607: il principe Pignatelli, nell’acconsentire alla richiesta di alcuni coloni provenienti da Trebisacce, Castelsaraceno e Viggianello di abitare e coltivare terre in località detta San Georgio,lo fa alle sue condizioni, imponendo tutta una serie di pesi fiscalie di obblighi, fra cui il divieto di possedere terreni coltivati a grano.
E’ vero che possono coltivarlo nelle terre del principe, ma il corrispettivo è ben salato e la terra non rende abbastanza per farvi fronte. Meglio coltivare le vigne di proprietà e poi esercitare la capacità di esperti mietitori per conto terzi. E’ quanto faranno i discendenti dei primi coloni. Nell’animo, però, resta il desiderio della ricchezza proibita. I coloni sognano di spogliare il signore della sua ricchezza, di abbassarlo almeno una volta al proprio livello, di dominarlo anche solo simbolicamente. Su questa base, secondo alcuni studiosi di antropologia, si sviluppò il gioco o danza della falce, che, ammantato di risvolti sociali, rappresenta in forma simbolica la rivolta, la contiene entro confini fisicamente non pericolosi, filtra le pulsioni attraverso sistemi simbolico-culturali. E’ la tesi che emerge dal commento che accompagna le immagini riprese a San Giorgio Lucano durante la storica spedizione di Ernesto De Martino in Lucania nel 1952. Le penetranti fotografie di Franco Pinna e le successive immagini dai toni fortemente marcati del cortometraggio di Lino Del Frà si prestano bene a fare da supporto. L’interpretazione si è consolidata nel tempo e la ritroviamo anni dopo: “La danza della falce è una vera e propria rievocazione storica, alla maniera contadina, di due secoli di feudalità oppressiva che è ancora viva nel ricordo dei più vecchi di San Giorgio Lucano”. “L’azione, che si svolge verso il tramonto, ha per attori i mietitori che si accingono a falciare l’ultimo pezzo di messe, la legante cioè la donna che raccoglie le spighe falciate per legarle insieme e formare la gregna, alcuni zampognari e il caprone, che è sempre il proprietario del campo… Quando i mietitori lo scorgono, accelerano il ritmo del lavoro e, raggiuntolo, lo immobilizzano con le falci che ora, terminata la mietitura, diventano arma di vendetta e di riscatto. Il riscatto consiste in una bevuta di vino collettiva. (Relazione del prof. Gaetano Stigliano al Primo Congresso internazionale delle tradizioni popolari, Metaponto Lido, 1986 ). ...Considerate una delle più espressive manifestazioni della civiltà contadina, un documento della più autoctona tradizione popolare, sono state oggetto di ripetute indagini, studi, documentazioni fotografiche e riprese filmiche. Ai lavori di De Martino e Pinna si aggiungono il cortometraggio di Lino Del Frà del 1960, le riprese di Folco Quilici del 1967... L’azione, già nel documento del 1952, si compone di due momenti distinti: la cattura-uccisione del capro e il gioco vero e proprio, che coinvolge anche il padrone: "Il tema centrale è il mascheramento dell'azione del mietere: i mietitori cioè si comportano come se l'operazione che essi compiono non fosse la mietitura, ma una battuta di caccia al capro. Un vecchio contadino fa da capro: due mazzetti di spighe tenuti fra le labbra, una pelle di capro legata alla schiena, i falcetti impugnati all'altezza della testa in modo da dare l'immagine delle corna, occhi sbarrati di animale braccato..." "I mietitori avanzano al suono della zampogna, mimando la mietitura: si muovono a ritmo, come se danzassero, oppure si arrestano improvvisamente, assumendo qualche atteggiamento determinato..." "Ben presto la pantomima si complica: i mietitori fanno le viste di combattersi fra loro, variamente raggruppandosi a due o tre, ed eseguendo con la falce varie figure agonistiche." "L'eccitazione cresce, finché non si rivolge al padrone, che è cercato, inseguito e catturato..." "Intorno al padrone i mietitori eseguono la solita pantomima della mietitura, e quindi con la punta della falce lo spogliano...” “A spoliazione avvenuta, vengono fatte circolare sul campo mietuto alcune bottiglie di vino." (Ernesto De Martino, La messe del dolore in Furore, Simbolo, Valore, Il Saggiatore, Milano 1962). Foto di Franco Pinna , 1959 fonte: http://www.prolocosangiorgiolucano.it/Gioco_della_Falce.pdf
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3 giu 2009

Basilicata: OPERA UNICA

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BASILICATA: Opera Unica Fonte RAI TRADE Share

1 giu 2009

La pentecoste di Melfi - l' unica in Italia

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La manifestazione della Pentecoste di Melfi è la più ANTICA (e non è poco) tradizione della Lucania,ed è l'unica festa in onore dello Spirito Santo che si celebra in Italia.
Si ricollega allo storico avvenimento del 23 Marzo 1528, passato alla storia come la "Pasqua di sangue". L'avvenimento s'inserisce nella contesa tra Francesi e Spagnoli per il possesso del regno di Napoli. La città che aveva sopportato un lungo assedio, fu espugnata e sottoposta alla furia malvagia delle truppe di Lautrec. Dopo ripetuti assalti, andati a vuoto, Pietro Navarro, famoso per la sua tattica di espugnatore, forte già di
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19 mag 2009

Un poeta ...di strada

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Francesco G., è una anziano che vive nel centro storico di Bernalda. Lo incontri nei pomeriggi d'estate sul muraglione della piazza , giù al castello,( abbasch u castiedd) a godere della brezza pomeridiana, alla ricerca di un soffio fresco che dia tregua al caldo torrido che in quei giorni avvolge il paese.
Insieme ad altri compagni di memorie appoggiati al muraglione spingono lo sguardo sul val basento che spazia dalle montagne potentine ai lidi jonici.
Forse inoltrano i pensieri indietro nel tempo, alla ricerca di frammenti memoria e sensazioni. Le sere d'estate, invece, lo si incontra seduto sulla sua sedia di legno e paglia, all'angolo di casa sua in corso Italia e a nessuno nega un saluto.
Questi 2 video sono stati realizzati, penso, da due turisti che incontrandolo e sono rimasti colpiti dal personaggio e han deciso di fermare nel tempo le parole di questo uomo.
Ho trovato su Youtube questi video e da subito mi han colpito le parole piene di amore e di dolcezza di quest'uomo.
Un poeta che, come tanti la vita, ci ha nascosto.

Posto i video e allego la traduzione. Video 1
Introduzione: Tengo la bellezza di 85 anni, quando nella mia qualità di persona cominciò ad entrare l'interpretazione d'amore, la prima ragazza che incontrai...si chiamava Vita e le prime espessioni furono queste:
Poesia 1 
"Vita della mia vita con entusiasmo vengo a chiederti la mia parola d'amore sentiamo il vero cuore il cuore mi risponde di si! Vorrei portarti fino alle stelle Con te ovunque sempre."

 



Video 2
Poesia 2:  
"A prima vista i vostri occhi mi dicono che non potrete essere verso di me tanto crudele Lo iscrivo in ... e la bellissima immagine e di questo... ho deciso di volerti chiaramente parlare. Abbiate peròla gentilezza di dirmi se siete impegnata e se la vostra bellezza è stata da qualche impegno conquistata Io ho 35 anni son capace di spingere nel più profondo del cuore il mio amore per dimenticare il fiume(?) L'accarezzerei e mi contenterei di posare le bianche mani sotto il firmamento stellato pieno di suggestioni e ombre(?) Che bello! Mentre le vostre rose vi accarezzerebbero le pallide mani."


 

Video realizzati a Bernalda(MT), il 01 maggio 2009 autore Blustark Share

7 mag 2009

Il Cappellino di ...Giuseppe Marco Albano

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Bravo! Ma che bravo! queste sono state alcune risposte ricevute quando ho chiesto dei pareri sull'ultima...fatica di Giuseppe Marco Albano, giovane lucano di belle speranze. Sembra che il talento non gli manchi, speriamo nella fortuna che accompagna i predestinati e sopratutto nella SUA voglia di non fermarsi per continuare a migliorare. Il talento c'è ma da solo non basta e a quanto pare lo spirito di sacrificio e abnegazione sembra appartenere al novello regista. (Nella foto Giuseppe Marco Albano) Altri più competenti di me han detto del cortometraggio" ...Recensire un cortometraggio non è un’operazione tanto semplice. L’approssimazione, la stringatezza o l’ampollosità, le ostentate (e spesso vacue) competenze tecniche, le trappole innescate da locuzioni troppo audaci, sono appannaggio di chi è avvezzo a sdilinquirsi nel commento dei cosiddetti lungometraggi’, e che in buona sostanza ama definirsi e farsi definire un critico’. Non mi sto certo avventurando in un pubblico reprimenda contro il popolo dei critici (di cui ammiro una discreta quantità di esponenti), ma è mia intenzione avvisare i lettori che le parole che spenderò a seguito di questa mia piccola introduzione non appartengono alla categoria delle recensioni propriamente dette (e universalmente condivise); costituiscono bensì uno sguardo amorevole – e moderatamente competente – sul lavoro di un ‘collega’, di un amico, che è stato in grado di donarci in soli quindici minuti un balocco prezioso, un piccolo monile di finissima fattura...(leggi tutto)
Ma la cosa che più di tutte mi ha indotto a parlare di lui, io che non amo parlare della gente ma solo dei prodotti culturali che essa ( o la sua espressione culturale) propone, è l'idea di magia , di quel real-meraviglioso di ispirazione latino americana che è rintracciabile e tracciabile anche in una terra che fa del sogno e dell'onirico una sua peculiarità. Aspetti che ho descritto in precedente post. Una terra che si può definire dimensione anzichè territorio. e da questa dimensione appaiono e si manifestano , in una epifania, segni di chi questa dimensione la vive e la percepisce. Aggiungo altro commento, non mio, sull'opera..." ..sembra proprio frutto di una magia: i meccanismi razionali, freddi, su cui la cinematografia impianta i suoi processi produttivi mal si confanno alla poesia di questa fiaba moderna (sognata più che raccontata), le cui pagine illustrate trasudano creatività e disincanto, e in cui il grottesco popolo degli orchi e delle streghe cede il posto alle invisibili forze del male.
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30 apr 2009

Giovanna, Napoli, l'ovo magico e Muro Lucano

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Il 16 gennaio 1343 muore Roberto, che la tradizione popolare volle definire “il Saggio”, e quasi come sempre accade nei corsi e ricorsi della storia, cominciò per la dinastia una serie di grossi guai. Gli successe, infatti, la nipote Giovanna, salita al trono all’età di sei anni. Con il passare degli anni si dimostrò una donna alquanto frivola e poco affidabile. Per volere del nonno, aveva sposato Andrea d'Angiò, fratello del re d'Ungheria. Il principe consorte tuttavia dopo pochissimi anni venne trovato
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7 apr 2009

Il made in Italy della terra C'è un tesoro nascosto nei campi

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Il made in Italy della terra C'è un tesoro nascosto nei campi di CARLO PETRINI L'ITALIA agricola è un "Paese per vecchi". Abbiamo un contadino giovane, sotto i 35 anni, ogni 12,5 agricoltori con più di 65 anni. Niente di paragonabile a Francia e Germania dove lo stesso rapporto scende rispettivamente a 1,5 e 0,8. Verrebbe quasi spontaneo lanciare un appello ai giovani: "Uscite dai call center, andate nei campi!". Fatevi il favore di un lavoro meno precario, più creativo, più gratificante, dove siete i padroni di voi stessi, per ritrovare un sano rapporto con il mondo. Bisognerebbe pensare e parlare non solo di crisi dell'agricoltura, ma di agricoltura come una delle possibili vie d'uscita dalla crisi. La formula purtroppo però non è così scontata, perché evidentemente in Italia tornare alla terra o continuare il lavoro di padri agricoltori non è facile: il Paese, preso dall'ansia di rilanciare i consumi, l'industria e l'edilizia, un'opzione del genere neanche se la immagina. O se la immagina male. I commenti di alcuni politici, in questo periodo, ricordano la vecchia pubblicità di un'azienda di pennelli. L'ingenuo manovale diceva: "Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande" e quasi stramazzava sotto il peso di un arnese così gigantesco da non essere funzionale. È la logica che guida quanti oggi si precipitano a spiegare che la crisi è "globale" e tali devono essere le soluzioni: grande scala, impatto internazionale, industria, potenziamento dell'export... Al contrario, si arriva addirittura a dileggiare le soluzioni che individuano percorsi locali, cicli brevi, potenziamento delle filiere corte, delle reti e delle economie locali: soluzioni leggere, rapide, partecipate ed immediatamente efficaci. In questo modo ci si dimentica che le nostre campagne si stanno spopolando come non mai e nemmeno si aiutano i giovani con i giusti incentivi o lo snellimento di pratiche burocratiche sempre più vessatorie. L'agricoltura in Italia determina la formazione del 15% del Pil relativo all'agroalimentare, dà lavoro al 4% della popolazione occupata. Gli addetti sono in costante calo: 901mila nel 2008, 924mila del 2007 e 982mila nel 2006. I giovani sono il 2,9% del totale, anche qui, di lunga molti meno che in Francia e Germania (7,5% circa in entrambi i Paesi). Sono dati che dovrebbero calamitare l'attenzione non solo di chi governa, ma in generale di chi vuole comprendere e analizzare le pieghe dell'attuale crisi e, allontanandosi dagli slogan, provare a capire come sta funzionando il Paese in questo periodo, come si stanno comportando le persone, le aziende, i consumi, le vite reali. Invece un malinteso senso della modernità e del business porta ormai molti politici ad allontanarsi sempre più dalla considerazione dei territori e delle loro peculiarità ed esigenze, per riferirsi esclusivamente ai mercati per lo meno nazionali, ma preferibilmente internazionali. Il che significa filiere lunghissime, trasporti, monocolture, grande distribuzione, necessità di input chimici per le coltivazioni, apertura agli Ogm. Significa, sostanzialmente, ulteriore industrializzazione del modello agricolo: grandi quantità, uniformità, concentrazione e priorità alle esigenze di chi vende piuttosto che a quelle di chi coltiva e consuma. La parola magica è "competitività", e quindi "export", ovviamente riferito al "made in Italy". Propongo di guardarlo in faccia il "made in Italy" del cibo, e di guardargli anche le mani, le scarpe, le rughe, le aziende. Guardiamo anche gli estimatori del made in Italy. Non ci sono solo quelli che lo apprezzano da casa, acquistando i prodotti italiani o che presumono essere tali. Ci sono anche, e sono tanti, quelli che vengono in Italia non per ammirare le autostrade, le ferrovie, i porti grazie ai quali esportiamo il made in Italy, ma per sentirsi accolti da una cultura legata a prodotti, sapienze e gesti che hanno dato vita a paesaggi, comunità e solide economie. Vengono per stupirsi, ogni volta, della straordinaria varietà che il nostro mondo rurale e gastronomico può offrire. Possibile che tutto questo non conti niente? Possibile che tra i tanti incentivi e appoggi finanziari, o per lo meno facilitazioni, non ce ne possano essere anche per chi è attirato da questo mestiere, certo faticosissimo, ma di grande futuro? Invece no, si dice che il settore non è competitivo, che le nostre aziende, sempre più vecchie, sono troppo frammentate, che ci vorrebbe maggiore concentrazione: più agricoltura industriale di grande scala, meno persone nelle campagne. E poi si porta ad esempio, per esaltare il made in Italy, il settore del vino. Ma è proprio sulla frammentazione, sulla diversità dei territori e di tante piccole aziende creative e innovative, tutte concentrate sulla più alta qualità, che il vino italiano ha costruito i suoi successi. La stessa cosa dovrebbe avvenire, essere promossa e finanziata, per tutti gli altri settori agricoli, per tutte le produzioni che possono fare della diversità e del radicamento sul territorio il loro punto di forza: ciò che non a caso ha reso fino ad oggi grande la nostra agricoltura e la nostra gastronomia, ciò che ha generato quell'appeal che si chiama anche "made in Italy". Non è solo sulle esportazioni che bisogna puntare: è sulla capacità dei nostri territori rurali di essere al servizio del Paese, a condizione che anche il Paese si metta al loro servizio. Disoccupazione? Il Ministro dell'agricoltura giapponese ha finanziato per 800 persone che hanno perso il lavoro uno stage di 10 giorni per imparare a produrre e vendere ortaggi e frutta. Dopo il corso formativo i disoccupati lavoreranno per un anno in villaggi agricoli. Dall'altra parte del Pacifico, il dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha annunciato l'apertura di circa 300mila nuove aziende agricole negli ultimi anni. Una tendenza favorita dal programma per l'agricoltura definito dal nuovo presidente degli Stati Uniti: incoraggiare tramite detassazioni e finanziamenti agevolati i giovani a diventare agricoltori, incentivare l'agricoltura locale, sostenibile e biologica, promuovere le energie rinnovabili, assicurare la copertura della banda larga nelle aree rurali, migliorare le infrastrutture nelle campagne ed estendere l'obbligo di indicare l'origine degli alimenti in etichetta per consentire di distinguere il proprio prodotto da quello importato. Noi invece vogliamo più cemento, più villette, più aziende agricole concentrate nelle mani di imprenditori sempre più vecchi, che rifiutano addirittura di farsi chiamare "contadini" e che diventano campioni di un sempre più anonimo export. Se dal 4% di occupati in agricoltura si provasse a passare anche solo al 5% o al 6%, come cambierebbe questo paese? Perché nessuno scommette sul settore, perché non si potenziano i mille rivoli di economia e produzione virtuosa che l'agricoltura di piccola e media scala consente? L'agricoltura italiana di qualità non può, non deve e soprattutto non vuole diventare "un paese per vecchi": occorre dare valore all'entusiasmo che oggi tanti giovani potrebbero mostrare per l'attività, considerando seriamente il comparto come uno dei più sani e potenti mezzi per reagire alla crisi. Anche così il made in Italy eviterà di diventare un'etichetta inutile e vuota, e sarà sempre meno facile imitarlo. Share

27 mar 2009

I NUZASIT a San Costantino Albanese

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La festa più suggestiva di S.Costantino Albanese è quella della Madonna della Stella, che si celebra la seconda domenica di maggio, la cui statua viene portata tre settimane prima dal santuario alla chiesa madre in paese. In occasione di questa festa vengono preparati cinque pupazzi in cartapesta, i nusazit appunto (che alla lettera significa "sposini"), a grandezza naturale e raffiguranti una coppia in costume albanese, due fabbri e il diavolo. Il diavolo è raffigurato secondo la tradizione di S.Costantino, ossia con due facce, quattro corna, i piedi a forma di zoccolo di cavallo, la forca e la catena del paiolo, detta kamastra. I cinque pupazzi sono montati e messi in movimento da alcune ruote piene di petardi: i fabbri compiono l'atto di picchiare sull'incudine, gli altri personaggi girano su se stessi e alla fine scoppiano tutti. I nusazit vengono accesi all'inizio della processione, quando la Madonna esce dalla chiesa: dapprima viene dato fuoco ai due fabbri posizionati al centro della scena, poi all'uomo e successivamente alla donna nel tipico costume albanese, lo stullite; solo per ultimo tocca al diavolo. Dopo l'ultimo botto attacca la marcia della bande che accompagna la Madonna per le vie del paese: anche qui, come in molti altri paesi lucani e del sud Italia in genere, ragazze nubili precedono la statua portando sul capo piccoli castelletti di candele (gli scigl), chiedendo alla Madonna la propiziazione del matrimonio. Le donne al seguito della statua della Madonna intonano per tutta la processione preghiere in lingua albanese. L'ultima tappa della processione consiste nel riportare la Madonna nelle chiesetta in collina fuori dal paese. Un altro pupazzo di cartapesta, raffigurante un cavallo col cavaliere (kali), pieno anch'esso di petardi, viene trasportato con passo saltellante da un uomo al suo interno e infine acceso la sera della vigilia. L'usanza dei nusazit non è albanese, anche se gli albanofoni di queste terre gli hanno dato un nome nella loro lingua che ormai li identifica, ma si racconta che, a importare la tradizione, sia stato, in tempi ormai lontani, un emigrato di ritorno dal PollinoIn occasione della festa, la statua della Madonna della Stella viene condotta nella chiesa Madre. Il rituale prevede la preparazione di cinque fantocci di cartapesta, i "nusazit", che raffigurano: una coppia in abiti tradizionali albanesi, due fabbri e un diavolo bifronte. fonte: http://www.terredelmediterraneo.org/itinerari/s_costantino.htm Share

17 mar 2009

lucania dedicato a Scotellaro santilio

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" e la mia patria è dove l'erba trema"

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16 mar 2009

Lucania paesaggi di gianni santilio

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Gianni Santilio, lucano di Pisticci, (ma se non ho perso qualche suo passaggio, in questo periodo, dovrebbe risiedere a Torino) bravo fotografo, gioca con le luci e le atmosfere dei paesaggi lucani. Share

11 mar 2009

Bernalda e le storie di Palazzo Ammicc

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Questa leggenda narra di una famiglia ricca che abitava in un grande palazzo del centro storico di Bernalda. Nel palazzo ci vivevano altre famiglie,al piano terra c’era un grande atrio dove i bambini potevano giocare e dove gli abitanti dello stesso palazzo, per lo più contadini, vendevano ciò che coltivavano nelle loro campagne. Il proprietario non faceva pagare il fitto ma in cambio voleva che gli inquilini dell’edificio si occupassero dei suoi terreni. Prima di morire nascose tutto il suo oro in un posto segreto del palazzo. Si racconta che, per avere questo tesoro, nel quale c’era
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10 mar 2009

C'era una volta IL Carnevale a Montalbano

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Baffi di Carbone Carnevale, un tempo, lo sentivi arrivare tra le zaffate, della tramontana, con suoni, canti e grugniti di maiale. Ne era investito l’abitato e la festa andava per le lunghe prendendo parte del giorno dopo, quando con le prime luci dell'alba, gruppi di persone, dal passo incerto per le forti libagioni, mascherati con indumenti in disuso e baffi ricalcati con il carbone, cercavano di raggiungere la propria dimora. La serata era trascorsa a casa del compare che, prima restio ad aprire la porta, si era, poi deciso benevolmente dopo la cantilena «vegn a cantà vicin a stu purtone, iauziti patrune e piggh u buttigghione», accompagnata dal suono monotono del «cupa-cupa». La tavola era imbandita- nel paiolo il bollito con la verdura, sulla brace costate e fegato, nel tegame cotica con carne e spezie. Davanti ad ogni commensale la fiaschetta di vino novello, ottenuto da uve maritate» in giuste proporzioni, succo secco e profumato, spremuto dallo Zibibbo, dalla Malvasia, "Sangiovese e da una manciata di uva fragola per il tono frizzante. Una tavola pantagruelica, attesa per un anno e da raccontare sino all'anno nuovo, dove il salame prendeva il Posto d'onore non a caso ricordato dalla seconda strofa della cantilena carnevalesca: «Vegn a cantà vicino a stì pitrizzi, iauziti patrune e pigli u sauzizzi». L’ingresso ufficiale del carnevale coincideva con il 17 gennaio e con i riverberi dei falò accesi nei rioni in onore di S. Antonio Abate. La tradizione voleva, tra un misto di sacro e di profano, l'intercessione del santo protettore degli animali perché il «mal rossino» rimanesse fuori dell'abitato e il maiale crescesse sano con carni sode e rosee. Allora, accanto all'uscio di casa, addossato al muro, c'era il truogolo e il paletto al quale si legava il maiale per impedire che si allontanasse. Era lì che ingrassava: il grugno sempre nel pastone preparato con farina di granturco, ghiande ed erbe selvatiche carnose che, ancora oggi, crescono nei dirupi cretosi. Generalmente ogni famiglia allevava due maiali: uno perché in casa, per tutto l'anno ci fosse carne e condimento e il secondo per far fronte alle spese di locazione o per acquistare l'occorrente per vestirsi a nuovo. Con l'autunno, alla potatura, venivano ammucchiati i rami recisi abilmente dal contadino per rinnovare la pianta. Nei primi giorni di gennaio, gli arbusti venivano trasportati in paese e i grossi carichi di sterpi, tra tante difficoltà, venivano ammucchiati nelle piazze e nei larghi per essere dati alle fiamme nella serata del 17. Una folla di grandi e piccoli erano intorno alle fiamme che si elevavano sempre più alte, a superare i piani delle case circostanti ma soprattutto i falò degli altri rioni per conquistare il diritto di offrire a Sant' Antonio Abate il maialino dell'ultima nidiata. Veniva allevato un po' da tutti. Con le orecchie mozzate (segno di riconoscimento) poteva girare per le vie del paese e porre il grugno nel truogolo e saziarsi liberamente senza essere scacciato. Cresceva e dopo un anno veniva macellato con il carnevale e le carni distribuite ai poveri. Il fuoco aveva anche un significato di incontro. Man mano che le fiamme scemavano, si facevano largo e prendevano i primi posti, attorno al fuoco, i giovani. Era l'inizio di una gara di prodezze. Le ragazze erano in circolo, addossate alle mamme a nascondere le emozioni quando, con una breve rincorsa il giovane saltava attraverso le fiamme e, superando la brace ardente, tra un misto di viva partecipazione e di tremore da parte delle giovani donne, si trovava dall'altra parte. Nascevano così le prime simpatie che, sino all'anno nuovo, si mutavano in storie d'amore e i novelli fidanzata, all'accensione dei nuovi falò erano solo spettatori. A tarda sera la brace veniva portata in casa: entrava il calore e la benedizione del santo. L’indomani unica testimonianza del grande falò il selciato bruciacchiato: la cenere, alle prime luci dell'alba veniva riposta in sacchi, trasportata in campagna e sparsa tra le piante perché il frutto fosse abbondante e sano. Il Carnevale comunque pur nella sua semplicità rompeva la monotonia di giorni uguali, fatto di lavoro e di stenti e con un rimpianto profondo terminava e si accettava la Quaresima con un misto di contrasti, finendo però per osservare, con umile ubbidienza, questo periodo di astinenza e privazioni. Il giorno successivo alla «morte di Carnevale» nei vicoli, alle finestre, su un filo teso tra balconi, appariva «Quaremma»: una vecchia in gramaglie, ricavata da resti di stoffe, con lana e fuso, simboli di lavoro e sobrietà ed ancora peperoni secchi, una cipolla, un'aringa affumicata, quale monito alla frugalità ed alla parsimonia. Tradizione che affonda le radici nel mondo della mitologia perché c'è chi ritiene «Quaremma» una delle Parche che fila il filo della vita, stando sempre pronta a reciderlo. Quaremma la si accettava e con la sua presenza c'era l'osservanza alla moderazione, all'economia, al ritiro, alla purificazione del corpo e dell'anima. Cose che oggi fanno sorridere, ma allora avevano il loro fascino legato alla vita del tempo. http://utenti.lycos.it/slltt/Tamerici53.htm dal libro : Tamerici di Enzo Palzzo Share

4 mar 2009

Pietrapertosa e il carnevale

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A Pietrapertosa, paesino delle Dolomiti lucane, giunto alla notorietà per le attività che si svolgono in cielo e mi riferisco al volo dell'Angelo, esistono eventi tradizionali che si sviluppano sulla...terra, tra le vie del borgo. Uno di questi è il Carnevale con la sagra della Rafanata ( specie di frittata con la radice del rafano e pecorino).
Il martedì grasso i festeggiamenti si concludono con il processo al Carnevale che, punzecchiato dal Diavolo con il volto nerofumo e corna caprine, e rimpianto da sua moglie Quaremma, viene inesorabilmente condannato al rogo. La sagra della Rafanata, tortino tipico del carnevale a base di patate e rafano, chiude i festeggiamenti.
..."Durante il periodo di Carnevale gruppi di bambini girano per
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Cirigliano e il Carnevale

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A Cirigliano il corteo celebra la morte di Carnevale e la nascita del nuovo. Anche qui un suono assordante di campanacci introduce i festeggiamenti carnevaleschi: le strade si riempiono di figuranti in costume che sfilano, incarnando i mesi dell'anno. Questa rappresentazione, a metà tra il sacro ed il profano, affonda le sua radici nel medioevo, ed è molto sentita nella cittadinanza. La processione carnevalesca procede al suono di campanacci e tra lanci di coriandoli. La sfilata è aperta da pastori, simbolo della comunità locale, e da personaggi che, ricoperti dalle bianche vesti di improbabili e blasfemi preti, precedono con in mano una croce ed il teschio di un bovino. Emaciato e ben vestito il feretro di Carnevale, come ogni cadavere che si rispetti, viene trasportato a spalla per le vie del paese. Il personaggio, spesso impersonato da un giovanotto in carne ed ossa dal volto ‘infarinato’, e i suoi portatori non disdegnano, durante il trasporto, l'offerta di vino nuovo proveniente dai compaesani, vino che si stura proprio a febbraio. Segue la vedova di Carnevale, ‘Quaremma’, che urla e si dispera, ben sapendo però che il congiunto è già pronto per risorgere tra i festosi schiamazzi di coloro che non sanno rassegnarsi alla fine della festa. Al termine del corteo funebre, che saluta i lazzi carnevaleschi fino all'inverno dell'anno prossimo, un fantoccio di paglia prende il posto del figurante sul rogo; un rito propiziatorio per la stagione primaverile che sta per sopraggiungere affinché sia fertile e proficua per le campagne. A fine corteo c’è il riproporsi dell'offerta propiziatoria e, nell'avanzare della notte, i bagordi, prima dell'arrivo del mercoledì delle ceneri. Vedi le foto --> fonte: http://www.cirigliano.org/eventi.htm http://digilander.libero.it/clfanzine/Cirigliano.htm morte del Carnevale Share

2 mar 2009

Ferrandina e il carnevale...

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Il Carnevale ...a Ferrandina, non si è sviluppato, o è andato irrimediabilmente perduto; Le poche notizie che abbiamo di antiche celebrazioni ci sono fornite dal Canonico Don Nicola Caputi che, nel suo cenno storico su Ferrandina, pubblicato nel 1859 ricorda che alcuni “individui, con grosse chiazze nere sulla faccia, con cappelloni laceri e malconci sulla testa…” [...] "ballavano e bevevano nelle strade e che altri ben vestiti rappresentavano" [...] “qualche tratto di storia profana o di mitologia, eseguendo concerti di ballo e gettando confetti ai curiosi intervenuti…” E dallo stesso reverendo Salvatore Centola nel suo libro su Ferrandina, pubblicato la prima volta nel 1931, che richiama espressamente e brevemente l’usanza delle serenate. Anche se fa cenno ad una usanza del giorno delle Ceneri, in cui due fantocci imbottiti di paglia: uno rappresentante Carnevale morto e l’altro una vecchiaccia, la Quaresima, l’uno con a fianco un fiasco, peperoni, salacche ecc., l’altra con attrezzi da lavoro: fuso, conocchia, aspo, arcolaio… venivano sospesi ad una corda tesa nelle vie, ad ammonire che il tempo delle gozzoviglie è passato e che subentra il tempo dell’astinenza e della fatica. Tornando alle serenate: queste erano accompagnate dal cupa cupa, per le strade ed erano impostate su richieste di cibo in cambio del canto, anche in applicazione di una formula rituale ben precisa, che è quella della richiesta che non può essere evasa con un rifiuto che sarebbe una grave “mancanza” nei confronti della collettività. Nel canto si richiedono cibi preziosi, da tempi “grassi” appunto, come la salsiccia e la ricotta, ma non viene disdegnata l’annugghie, che è una sorta di salame più povero. fonte: http://www.associazionefinisterre.it/ferrandina/demartino_memoria_carnevale.htm Share

24 feb 2009

BASILICATA. Bella Scoperta!

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Il video promozionale sulla Basilicata. CAsting: La Ricotta Share

20 feb 2009

Omaggio all'amore

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OMAGGIO ALL'AMORE Benigni recita Oscar Wilde Amore nel senso puro ed originario. Amore non inquinato dalle paure. Un Amore che si nutre di se stesso, prendendo forza dalla sua energia; un amore immortale. Share

11 feb 2009

L'inverno delle montagne lucane

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L'incanto dell'inverno sulle montagne lucane (Sirino e Volturino). Un racconto intessuto di luci e nebbie, un tramonto fra ghiacci scintillanti e pinnacoli di roccia. http://www.youtube.com/watch?v=M7K6Juk8KQY Share

Tra due laghi

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Videoclip ambientato tra i due laghi di Pietra del Pertusillo e Laudemio, quest'ultimo all'ombra del maestoso monte Sirino, in Basilicata Share

Acque Lucane: la diga del Pertusillo

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Negli anni Sessanta, quando fu sbarrato il corso dell'Agri, nacque il lago del Pertusillo. Quest'opera di alta ingegneria idraulica ha un'altezza di 100 metri ed una struttura ad arco gravità. La sua realizzazione ha dato vita ad un invaso di 155 milioni di metri cubi d'acqua in grado di rispondere ad esigenze diverse quali la produzione di energia elettrica e l'irrigazione di trentacinquemila ettari di terreno. Lungo le sponde, il comune di Spinoso ha realizzato un asse attrezzato con soste di ristoro ubicate in suggestive vallette e dotate di attrezzature quali campi da bocce, barbecues, tavoli ecc.; in c.da Ficarella è stata inaugurata da poco un'oasi di ristoro in una cornice naturale praticamente incontaminata. Il lago è ricco di trote, anguille e carpe e costituisce un'attrattiva per i pescatori non solo locali. http://www.youtube.com/watch?v=zl6wjx5BQLA Share

3 feb 2009

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Capiamoci subito! Io non sono a favore dei localismi fini a se stessi, secessionismi vari, piccole e grandi comunità. Io sono a favore di un identità culturale, storica, antropolologica, ecc. ecc., all'interno di una più vasta comunità REPUBBLICANA che inglobi le varie diversità e e sviluppi una dimensione sovraterritoriale. Non mi piace l'idea dei leghisti vecchi, del Nord, e dell'ultima ora , del Sud. A me piace l'Italia e mi sento cittadino Italiano. Mi sento anche europeo e sono LUCANO. Sopratutto sono figlio della Madre Terra e fratello di tutti i suoi figli. Premesso ciò a scanso di equivoci, quado si parla di TERRONIA, o dell'Italia del Sud, quel magico mondo mediterraneo, bisogna sapere di cosa si parla. Quando si dice arretratezza atavica, beh, quà io mi incazzo in maniera irreversibile; quando si parla e sopratutto si asserisce qualcosa, bisogna che tali argomenti abbiano un fondamento , almeno un minimo , please! Senza luoghi comuni o i sentito dire. L'arretratezza del sud è il prezzo che si è pagati per avere un nord ricco. Con L'unità di Italia e la contestuale invasione sabauda, molti sono i lati oscuri non raccontati e sono anche molti quelli non oscuri ma che è stato meglio non raccontare. La colpa non è di nessuno ma la complicità è di molti! Ultimamente sull'onda dell'emotività secessionistica-federlista molti scritti sono apparsi. Ma molti sono gli aspetti storici e sociali pre-sabaudiani che sono stati taciuti. Alcuni di questi aspetti sono trattati in questa pubblicazione che ho scovato in rete: «LA STORIA PROIBITA - Quando i Piemontesi invasero il Sud» di Carmine Colacino, Alfonso Grasso, Andrea Moletta, Antonio Pagano, Giuseppe Ressa, Alessandro Romano, Maria Russo, Marina Salvadore, Maria Sarcinelli - Controcorrente 2001] Chiaramente si può anche essere d'accordo ma l'aspetto fondamentale è che le cose bisogna saperle. Share

27 gen 2009

Uno scatto nell'Agri

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Percorrendo il fiume che dà il nome alla Valle, un giovane fotografo australiano di origini lucane, Tony Marsico, s'inserisce nelle dinamiche sociali e territoriali della Valle dell'Agri, lasciandosi trasportare completamente lungo lo scorrere del Fiume Agri, questo anche grazie alla gentilezza, l'accoglienza e la
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15 gen 2009

Aliano e il Carnevale

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E'un carnevale di antichi origini, con probabili elementi apotropaici di esorcismo verso il male. Il carnevale e' citato da Carlo Levi nel suo celebre romano Cristo si e' fermato a Eboli. L'inizio della festa e' - come tradizione - la ricorrenza di Sant Antonio Abate (il 17 gennaio). Le maschere piu' caratteristiche sono cornute, demoniache o spettrali. Gruppi di giovani percorrono il paese armati di ciuccigno, una sorta di manganello flessibile, con il quale colpiscono soprattutto giovani donne (cone evidente allusione sessuale).I figuranti procedono a grandi salti, portando in mano pelli di pecora arrotolate come bastoni, indossando maschere contadine e assumendo atteggiamenti minacciosi e chiassosi. Essi indossano anche campanelli e maschere sormontate da piume di gallo, che hanno smorfie diaboliche e grottesche. Tra le testimonianze folkloristiche alianesi quella sul Carnevale è senza dubbio la più interessante per la sua originalità , già sottolineata da Carlo Levi nel "Cristo..." : "Venivano a grandi salti , e urlavano come animali inferociti , esaltandosi delle loro stesse grida . Erano le maschere contadine . Portavano in mano delle pelli di pecora secche arrotolate come bastoni , e le bandivano minacciosi , e battevano con esse sulla schiena e sul capo tutti quelli che non si scansavano in tempo" . L'ultima domenica di Carnevale , nella piazza del paese , si tiene la "frase" , una rappresentazione sarcastica in cui si fa riferimento a fatti e personaggi della realtà locale . Tutto particolare è poi l'abbigliamento della maschera tipica di Aliano : la maschera cornuta .I giovani indossano i classici mutandoni invernali ("i cauzenitt") cingendosi trasversalmente con un nastro di cuoio da cui pendono numerosi campanelli di bronzo e finimenti di muli e cavalli . Una fascia di crine , invece , circonda la vita , mentre il capo è coperto da una grossa maschera composta di argilla e cartapesta , sormontata da un gran numero di penne di gallo , dalla cui parte frontale spuntano corna assai pronunciate e lunghi nasi pendenti . Raffigurano creature diaboliche e grottesche dai significati magici che si perdono nell'origine stessa del Carnevale . Tali maschere sono uniche , non è possibile trovarne altrove a testimonianza di una tradizione che ad Aliano si è conservata. http://www.aptbasilicata.it/fileadmin/uploads/opuscoli_informativi/Brochures/Carnevale/Carnevali_Lucani.pdf Share

14 gen 2009

Città Lucane romane

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L'occupazione della Lucania termina l'esistenza di questo popolo fierissimo che tenterà un'ultima ribellione dopo essere stato punito per ave tradito la fiducia di Roma per Annibale, con la Guerra Sociale, dopo esser usciti da un periodo di malattie virali che decimarono la popolazione nel periodo sillano; con Augusto la regine, pur mantenendo i propri confini, verrà accorpata al Bruttium, formando con esso la Regio III.

fonte: http://www.instoria.it/home/italia_antiqua_XVII.htm

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