28 giu 2008

Grassano.Chiesa della Madonna della Neve e la leggenda del contadino povero

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Esiste anche una curiosa leggenda popolare legata a questa chiesa, la quale racconta che “un povero contadino decise di vendere l’anima al diavolo in cambio di molte ricchezze. Ma con il passare degli anni, sentendo avvicinarsi il momento in cui sarebbe morto, iniziò ad aver paura di andare all’inferno e cominciò a pregare la Madonna perché lo aiutasse a salvare la sua anima dalla dannazione eterna. Fu così che una notte gli apparve in sogno la Madonna della Neve che gli disse: “Figlio mio, se vuoi salvarti in segno di penitenza segui la Santa Messa nella mia chiesa, ma non distrarti qualsiasi cosa succeda”. Il giorno dopo, appena sveglio, il contadino prese il suo cavallo e uscì per andare a seguire la Santa Messa. Arrivato davanti la chiesa della Madonna della Neve legò il suo cavallo all’anello di ferro posto (sino a qualche anno fa) accanto al portone d’entrata della chiesetta e andò fiducioso a seguire la funzione. Ma durante la messa il diavolo, accortosi di ciò che stava succedendo, si impossessò del cavallo del contadino che iniziò a nitrire e a scalciare con forza contro il muro della chiesa. I colpi erano così forti da far tremare tutta la chiesa. La gente, impaurita, cominciò a strattonare il contadino affinché andasse a calmare il suo cavallo, ma lui era così concentrato nell’ascoltare la Santa Messa che non diede retta a nessuno, né si lasciò impaurire da tanto baccano. Terminata la funzione il contadino all’uscita della chiesa, si trovò senza cavallo e con in dosso gli stessi poveri abiti che possedeva un tempo. Tutti i suoi beni erano scomparsi. Così povero, ma felice, si addormentò e morì, finalmente in grazia di Dio”.

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la leggenda del Barbiere di Federico Barbarossa

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Sandro Botticelli, Allegoria della calunnia (da Apelle). Dettaglio. 1495.
Tempera su legno, Uffizi di Firenze.
Re Mida affiancato da due figure femminili, che rappresentano il sospetto e l'ignoranza, le quali sussurrano cattivi consigli nelle orecchie d'asino del Re.



Federico I Barbarossa, in vecchiaia, si ritirò al Castello di Lagopesole e, siccome era afflitto da una deformità congenita che lo costringeva a nascondere delle orecchie allungate e puntute sotto una fluente capigliatura, per impedire la divulgazione della notizia della sua deformità, aveva ordinato che i barbieri da cui si faceva radere, al momento in cui lasciavano la dimora imperiale, venissero portati, attraverso un corridoio, in una torre dove era posto un trabocchetto, nel quale i malcapitati rimanevano sepolti. Un giorno un giovane barbiere riuscì a sfuggire evitando la mortale torre. L’Imperatore lo graziò a condizione che non rivelasse mai il gravoso segreto.
Il nostro barbiere era intenzionato a mantenere il segreto, ma la notizia era grossa; non volendo però mancare alla promessa fatta, temendo giustamente per la propria vita, andò
nel luogo più nascosto della campagna di Lagopesole, vi scavò un buco profondo nel terreno e, parlandoci dentro, raccontò il segreto dell'Imperatore. Dopo qualche tempo, sul posto, crebbero delle canne che, agitate dal vento, con il loro fruscio sempre più forte ed insistente,
ripetono ancora oggi una canzone: "Federico Barbarossa téne l'orecchie all'asinà a a
a a ...".
Di qui il ritornello è giunto fino ai tempi nostri ed è stato ripreso
anche in canti popolari della zona. Non sarà sfuggito la somiglianza fra
quanto raccontato e il mito di Re Mida, punito da Apollo con delle orecchie d’asino.
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Viggianello e il Carnevale di Paglia

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Questo carnevale rientra tra quelle manifestazioni del carnevale lucano  che hanno ricercato eriaffermato la propria identità.
Il Carnevale di Viggianello, così come lo conosciamo oggi, ha origine nel 1986. Convenzionalmente questa data dà il via alla realizzazione dei carri allegorici e alla sfilata. Ma il carnevale ha origini ben più antiche.
È sicuramente un carnevale povero, di matrice contadina. Tra le usanze più comuni si riscontra quella dei “frassi”, gruppi mascherati, travestiti con stracci di fortuna, che si aggirano per le case
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27 giu 2008

Lucania, terra di Luce

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Una suggestiva leggenda vuole che
il nome fosse dato da un popolo diretto verso Sud,
una volta giunto in una terra dalla quale si vedeva sorgere il Sole,
e che il nome Lucania indicasse quindi
"Terra della Luce".







Esistono varie ipotesi sull'origine del toponimo Lucania:

* dai Lucani, popolazione osco-sabellica proveniente dall'Italia centrale, che a loro volta avrebbero preso il nome dall'eroe eponimo Lucus;
* dal termine latino Lucus ("Bosco");
* dal termine greco Lykos ("Lupo");
* dai Lyki, popolazioni provenienti dall'Anatolia che si sarebbero stabiliti nella valle del fiume Basento;

http://it.wikipedia.org/wiki/Basilicata

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Rotondella: nascita del villaggio

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Il villaggio di Rotondella pare sia sorto sulle ceneri di tre casali: Santa Laura, Santa Lucia e Trisaia. Alcuni narrano che qui vigeva uno strano governo: gli ecclesiastici governavano sui contadini, i cui figli. per "vocazione", potevano diventare anch'essi sacerdoti. Uno di questi monaci, nato povero ma in quel periodo padrone di quelle terre, organizzò una cerimonia in onore delle sante. Durante la festa, una zingara volle predire il futuro. La scelta s'indirizzò verso il monaco ma, all'improwiso, la zingara fuggì via gridando. Il monaco chiese il perché di quel comportamento, ed ella gli svelò di averlo riconosciuto come suo figlio per la somiglianza col padre; questi, morto nel casale di Santa Laura, aveva affidato il figlio a una famiglia di contadini. Da allora, tutti i figli degli zingari furono accolti con gioia nei tre casali che portarono alla nascita di Rotondella. http://www.ilpaesedeibambinichesorridono.it/di_tuttto_un_po_basilicata.htm Share

21 giu 2008

Nucleare: se tutti producessimo energia in casa ci risparmieremmo 5 centrali

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Se tutti producessero l’energia in casa, con pannelli solari e ’microcentrali’ a biomasse si potrebbero risparmiare 5 centrali nucleari persino nella poco assolata Gran Bretagna. Lo afferma uno studio del ministero dell’energia britannico, secondo cui con un mix di incentivi e finanziamenti statali sarebbe possibile, oltre a produrre l’elettricita’ di cinque centrali, risparmiare ogni anno 30 milioni di tonnellate di CO2.

Attualmente, spiega lo studio citato dal Guardian, in Gran Bretagna ci sono centomila unita’ di microgenerazione, cioe’ sistemi di produzuione di energia elettrica applicati a singoli edifici. Secondo il rapporto questa cifra potrebbe arrivare a 3 milioni, vale a dire quasi un edificio su cinque che diventerebbe autosufficiente o addirittura produttore di energia.

Tra i piani proposti per raggiungere l’obiettivo ci sono sgravi fiscali, mutui agevolati e contributi statali, che potrebbero costare fino a un massimo di 2,7 miliardi di euro all’anno fino al 2030, a fronte di un costo per una centrale nucleare di circa tre miliardi di euro esclusa la manutenzione. ’’La microgenerazione, combinata con altre misure, puo’ contribuire a ridurre le emissioni - ha affermato il ministro dell’energia britannica Malcom Wicks - e’ una cosa che ogni cittadino puo’ fare per salvare l’ambiente’’

http://www.darlingtonindustry.it/news/spip.php?article25
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18 giu 2008

Rom e Immigrazione

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Esprimo la mia.
Povera Italia, piena di Ipocrisia.
Povera Italia, pensa a vincere agli europei che il resto conta poco.

La vignetta è uscita il 22 maggio sul cattivo quotidiano comunista, insurrezionalista, irriverente,blasfemo, ecc, ecc.,Liberazione
Vorrei indicare un bell' intervento di Don Luigi Ciotti sulla sicurezza e sui Rom.
"Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti...
vai all'articolo Share

Miglionico: Il castello e la carrozza d'oro

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'Tempi addietro una popolana andava a prendere l'acqua al pozzo presente nel cortile del castello e inavvertitamente cadde al suo interno, subito la gente del posto allarmata dalle urla provenienti dal castello trovarono la ragazza e con non poca fatica la portarono in salvo. La popolana rimase scioccata per un po di tempo e quando rinsavì raccontò di aver visto luccicare in un punto ancora sconosciuto del pozzo una carrozza d'oro trainata da 7 cavalli'. http://www.miglionicoweb.it/altri_360.htm Share

Vagabondando per e nella Basilicata

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Girovagando o vagabondando per la Basilicata, continuo ad imbattermi in storie fantastiche, cariche di leggende e e suggestioni, legate a luoghi visibili e a volte carichi di storia; di quella storia con la S maiuscola. Ma a me la grande Storia, quella ufficiale, interessa per onestà intellettuale. La storia che io voglio narrare e quella che il territorio vuole che si racconti , è composta da tanti microeventi che il tempo ha coperto di ragnatele e polvere. Una storia che non è solo di contadini e briganti. Una microstoria, o come mi piace definirla una Storia Real-Meravigliosa che riempie di vita e carica di suggestioni luoghi altrimenti belli e interessanti solo, forse, per le loro forme architettoniche e strutturali, o per i contenuti artistici, quando esistono. In questo viaggio dentro la Basilicata, che dura da anni, forse da sempre, ho imparato ad ascoltare la Basilicata e le sue pietre, i suoi muri, le sue strade. Ho capito che la Basilicata vuole essere raccontata e narrata. Una descrizione che non è solo cronaca o storiografia o antropologia. Una Basilicata che vuole raccontare a chi sa ascoltare. Una Basilicata che ha un codice di comunicazione suo, personale, il quale non si presta ad orecchie distratte. Un linguaggio che ammalia chi si ferma; che suggestiona chi ha lo sguardo pronto all'incanto. Una Basilicata che fugge dal visitatore fuggevole. Share

17 giu 2008

Tolve : il castello e la danza degli spettri

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La danza degli spettri Una tradizione della Tolve misteriosa racconta un fatto realmente accaduto e la cui memoria si tramanda da secoli. Una notte di Luglio del 1561 nei saloni del Castello si festeggiavano le nozze della figlia del Duca di Tolve, Fabrizio Pignatelli di Monteleone. Numerosi invitati danzavano e cantavano al suono dei musici invitati per la festa più importante dell'anno, tra cibo e lussi che gli abitanti di Tolve potevano solo favoleggiare. La sposa era bellissima nel suo abito nuziale e volteggiava leggiadra al suono dei flauti. All'improvviso un tuono scosse la terra, i musici smisero di suonare, le possenti mura del salone ed il pavimento si squarciarono.
Fu tutto in un attimo: l'intera ala del Castello precipitò dalla rupe nel sottostante torrente per decine di metri, trascinando con sé gli sventurati invitati. Il terremoto, un evento che ha segnato per secoli la terra lucana, infranse in un attimo il sogno della giovane sposa e mutò in tragedia la festa. I Tolvesi ancora oggi, sul greto del torrente, nelle notti di luna piena, possono sentire il suono degli strumenti, i passi di danza, il vocio della festa e le urla disperate di chi precipitava nel vuoto. Alcuni hanno visto le figure leggiadre delle giovani fanciulle volteggiare per un attimo prima che il loro viso si trasformasse in una maschera di terrore. Oggi blocchi squadrati di pietra sul greto del torrente indicano ancora dove rovinò l'ala del Castello. Se capitate a Tolve in una notte di luna piena recatevi al torrente, cercate le pietre del Castello ed attendete da soli la mezzanotte

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http://docrock.interfree.it/aneddoti.htm Share

13 giu 2008

Muro Lucano e le "Querce di Annibale"

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Nei dintorni di Muro Lucano fu combattuta nel 210 avanti Cristo la battaglia fra Annibale e il console Marcello. Nella località, accanto a un piccolo ponte romano e ad avanzi di mura, si trovano le cosiddette "Querce di Annibale". La leggenda vuole che il grande Cartaginese si riposò dopo la battaglia, adagiandosi all'ombra di quegli alberi. Share

12 giu 2008

BasiliKata...con occhi tedeschi.

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LA Basilicata, o Basilikata come dicono i tedeschi, in un documentario di viaggi della Televisione tedesca HR. Loro ci hanno visto così. Il regista, Manfred, durante i 15 giorni passati in queste terre spesso esclamava, in un italiano perfetto ma dal suono duro, :" Ohh.Incredibile, bellissimo." Eppure son 30 anni che fa questo lavoro, in giro per il mondo... Ciao Manfred,Ron, Jurgen, a presto fonte:http://it.youtube.com/watch?v=wM6RmHrqUSA Share

3 giu 2008

Matera e le leggende della festa della Bruna

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Assalto al carro- foto di Wikimatera
Le Leggende della Madonna della Bruna
Sono addirittura tre le leggende che si raccontano a Matera su questa festa. Una di queste narra di una ragazza sconosciuta, apparsa ad un lavoratore della terra al rientro verso la città di Matera. La fanciulla chiese al buon uomo un passaggio sul suo carro e questi, dopo averla accompagnata fino alle porte della città, nei pressi della chiesetta di Piccianello, la vide trasformarsi in statua. La Vergine salutò quindi l'incredulo contadino sussurrandogli queste parole: "così, su un carro addobbato, voglio entrare ogni anno nella mia città". Una seconda leggenda sul perchè della distruzione del Carro trionfale, narra invece di un probabile assalto dei saraceni. I materani, per scongiurare il pericolo che le icone della loro profonda devozione e venerazione cadessero nelle mani degli aggressori, distrussero loro per primi il carro, evitandone il saccheggio. La terza leggenda racconta invece che il conte Tramontano, signore di Matera, abbia promesso alla cittadinanza di Matera tutto il necessario per lo svolgimento della Festa in onore della Santa patrona, persino un carro nuovo ogni anno. I materani per mettere alla prova il mal sopportato tiranno, assaltarono il Carro trionfale costringendo il conte a mantenere la promessa fatta.

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Viggianello: leggende tra regine e vergini

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La Regina barbara e il suo anello La leggenda vuole che un giorno una regina barbara scese con la sua chinèa a dissetarsi alle sorgenti del fiume Mercure. Mentre si chinava per bere, l’anello nuziale le cadde dall’anulare nell’acqua. La regina pianse per l’anello perduto, che la legava in voto al suo morto amore. Cercò disperatamente di ritrovarlo, senza però riuscirvi. Un suo fedele servitore, vedendo la regina piangente, le promise che a costo di farsi mordere le mani dalle aspidi acquatiche avrebbe ritrovato l’anello. La regina tornò al castello. Il Fedele servitore continuò a cercare per tutta la notte. La regina piangeva e si disperava per dover tornare sulla tomba del suo amore senza anello al dito. Ma quando la luna rischiarò il fiume, il servitore gridò: “Vidi anello regina!”. Tuffò la mano, colse la gemma e la riportò alla sua padrona. La regina così, con la sua chinèa, corse sulla tomba del suo amato. Da questo mito fluviale sarebbe nato Vidianello. Poi Viggianello. La regina barbara vi venne a morire, e fu sepolta nel letto del fiume, insieme con la sua bianca chinèa. La Vergine Ardenza Si narra che una Vergine di nome Ardenza, che aveva fatto voto di castità, fuggita dal castello paterno, si rifugiò nei boschi per sfuggire alle nozze imposte dal padre con il principe vicino. Ovunque Ardenza posava il piede nasceva un giglio di fiamma o un giglio di neve. La Vergine era bellissima che pareva nata dal sole e dall’acqua chiara. Si dice che le api ogni giorno le offrissero un favo di miele dolce e delicato. Era il suo cibo. Pregava e cantava. Parlava con gli usignoli, coi fiori e con gli angeli, che la svegliavano al mattino e l’addormentavano la sera. Al castello e al paese tutti la credevano morta e la piansero. Un giorno però il principe della Terra vicina organizzo una battuta di caccia. Ardenza, impaurita per l’abbaiare dei cani e dal nitrire dei cavalli, dal rumore delle scure, che i partecipanti utilizzavano per abbattere qualche arbusto che ostacolava la caccia, si impaurì e si nascose in una macchia di mirto. Tutti i cavalli passarono. Solo un cane, il più diletto al principe, del quale si era impossessato il diavolo, si fermo davanti alla macchia e abbaiò. Il principe pensò di trovarvi un covo di lepri, invece, con sorpresa trovò Ardenza. La volle togliere al Signore. La portò al castello col suo cavallo e le disse che sarebbe diventata, finalmente, la sua sposa. Organizzò una gran festa di nozze. Il principe invitò Ardenza a scegliere tra lui o la morte. La Vergine scelse la morte. A questa risposta il principe ordinò ad alcuni suoi fabbri di costruire una gran veste di bronzo, nella quale fece rinchiudere Ardenza. Per tre ore la Vergine cantò: prima gioia, poi pianto, poi agonia, sotto la cappa pesante. E morì. Passarono mille anni. Quando fu costruito Viggianello mancava il bronzo per le campane. Frugando nei sotterranei di un castello spiritato, fu trovata la strana veste di bronzo, nella quale aveva agonizzato la più bella mante di Dio. Con quel bronzo fusero le campane, le quali, la prima volta che suonarono, cantarono la gioia, il pianto e l’agonia di Ardenza. La voce della Vergine si era impressa nel metallo, e vi era rimasta divenendo anima. Ancora oggi, quando cade l’anniversario della morte di Ardenza, le campane, senza nessuno che le suoni, come mosse dal fiato degli angeli, cantano e piangono e agonizzano con la voce della Vergine di Dio. Nessuno, però, le sente se non è puro come Ardenza. La grotta di Gesù e Maria È credenza diffusa che a Viggianello esista una grotta, chiamata di Gesù e Maria, che nasconde un tesoro favoloso. Ogni notte di Natale, al primo tocco delle campane, la pietra si apre e chiunque può entrare e prendere oro. Ma, chi entra, se spinto dall’avidità si piega per tre volte a raccoglie oro, e se il suono delle campane cessa prima ch’egli abbia finito, la pietra della grotta maledetta si richiude e i diavoli si gettano sul corpo del malcapitato. Si dice di un tale, però, che, con gran furberia, messosi d’accordo col sagrestano, al quale fece suonare le campane per tutta la notte, riuscì a prendere oro in grandissima quantità e diventò ricco. http://www.comune.viggianello.pz.it/modules/wfsection/article.php?articleid=38 Share

VAglio di Basilicata: la leggenda di san Faustino

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San Faustino era figlio di un turco. Egli voleva essere cristiano, ma il padre non voleva perché era pagano. Allora lo portò in un bosco e gli disse: “Vuoi essere cristiano o pagano?”. S. Faustino disse: “Cristiano”. Il padre, allora, l’uccise e lo seppellì in un fosso. Dopo tanto tempo, un mercante con il carro, passò di lì e vide un giglio. Questo mercante disse che non aveva mai visto un fiore così bello e lo raccolse. Il giglio non se ne veniva, così il mercante si mise a scavare e trovò S. Faustino. Le persone di tutti i paesi accorsero perché se lo volevano portare al loro paese. S. Faustino diventava
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1 giu 2008

Montalbano j.co: il palazzo del Cavaliere

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Nel Settecento, Montalbano vantava già, ad esempio, il cosiddetto “Palazzo Cavaliere”, nel cui nome sta forse una delle cause delle frane che portarono via il castello. L’edificio deve il suo nome ad una leggenda causata dalla suggestione popolare. Innanzitutto è bene precisare che sorge anch’esso sul ciglio del burrone di argilla su cui il paese si affaccia, a breve distanza dal luogo dove era il castello e dirimpetto all’ “Osannale”, piazzetta dove ancora oggi avviene la benedizione delle palme la domenica prima di Pasqua, ma che doveva essere un torrione della seconda cinta muraria. Orbene, la leggenda vuole che di notte, nell’ampio cortile interno del palazzo (dove una volta soggiornò Zanardelli, come si evince da un’iscrizione postavi), compaia la terribile figura di un cavaliere senza testa, e lo scalpitio degli zoccoli del suo destriero pare abbia terrorizzato per generazioni i sonni degli abitanti. I più coraggiosi di loro raccontavano di essersi affacciati, di notte, nel cortile, e di averlo visto, il fantomatico milite, aggirarsi tetro su di un destriero ora bianco, ora nero. L’avevan sognato, buoni uomini, o la suggestione della notte aveva causato loro l’agghiacciante visione, dato che lo scalpitio era dovuto alle gocce che, condensatesi, cadevano nella cisterna sottostante il palazzo, rimbombando nel silenzio notturno, fino a sembrare gli zoccoli d’un cavallo. Nulla vieta di pensare che gli scoli di queste cisterne andassero a finire proprio vicino alla “tempa del diavolo”, erodendola poco a poco negli anni, fino a causar la rovina del castello, andato a finire inesorabilmente giù, nei calanchi. http://www.mondimedievali.net/pre-testi/montalbano03.htm Share

Tursi e il palazzo dei diavoli

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Palazzo dei diavoli:
Tursi - Palazzo del Barone Brancalasso, detto semplicemente " palazzo del Barone ", al centro di piazza Plebiscito, che secondo la leggenda fu costruito in una sola notte da diavoli aiutati dagli spiriti delle tenebre i quali, poi, non potendo tornare in tempo nel loro regno, si sono materializzati sul tetto dell'edificio. In realtà in una notte venne delimitato il perimetro del palazzo alla cui costruzione si opponevano i proprietari dei fondi vicini. La via che adesso separa il palazzo Brancalasso dal palazzo Pierro è detta " strittue du Barone ", stretto del Barone. Le tre statue
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Stigliano e la leggenda del drago:

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Sulla memorabile e affascinante leggenda di un terribile drago che nei tempi passati terrorizzava le popolazioni delle convalli dell’Agri e del Sauro, Salvatore Agneta di Stigliano, scrive un interessante saggio dal titolo Il conte e la leggenda del drago. Uno studio sospeso tra storia e tradizione, tra leggenda e realtà.
Il mito del Drago affascinò persino Levi durante il confino ad Aliano, che volle dedicare a questa storia, due pagine del Cristo si è fermato a Eboli. In un libretto di 60 pagine, intriso di vicende e fatti storici, che si snodano in tutto il corso del basso medioevo, fino all’inizio del 1500, Salvatore Agneta cerca di ricostruire, tra memoria, fantasia popolare e documentazione scritta, le origini, i luoghi e i tempi di questo mito. I riferimenti storici sono tanti, oltre a Levi, anche Panetti, Molfese, Branco. Una serie di ricognizioni sul campo, di richiami e di rimandi poliedrici e sfaccettati, hanno consentito all’autore di giungere ad una esauriente e razionale ipotesi di questo mito.Riporto di seguito due stralci conclusivi del saggio:
“Una versione tramandata oralmente vuole che il drago vivesse in un lago sul monte Serra, presso Stigliano, e da lì si spostasse alla ricerca di uomini e bestie per soddisfare la sua fame, con particolare predilizione per le fanciulle di nome Margherita.La cosa andò avanti per molto tempo fino a quando “il principe” non lo uccise mozzandogli la testa con un colpo di spada. Gli stiglianesi riconoscenti gli donarono il bosco La Foresta”. (p.48 )“L’unica strada percorribile in tal senso è quella che conduce a questa conclusione: il drago altro non sarebbe che la rappresentazione simbolica del fiume.E’ questa dunque, la giusta chiave di lettura?Al di là delle tante versioni che la tradizione, nel tempo e attraverso vari relatori ha arricchito con particolari sempre più diversi e fantastici, a ben guardare fra il drago e il fiume si possono trovare, d’accordo con il Branco, delle analogie sorprendenti. Il drago, infatti, può essere lungo e sinuoso come il percorso di un fiume, impetuoso e travolgente come una piena, vorace e letale come la corrente dell’acqua, pestifero come l’aria di una palude.La fantasia popolare ha creato i draghi per simbolizzare forze naturali terrificanti. I dissodamenti e le bonifiche hanno assunto sovente, nell’agiofrafia e nella mitologia del cristianesimo, l’aspetto della lotta contro un drago.L’uccisore del drago è, da questo punto di vista, un eroe vincitore sul caos naturale; trionfando sulla palude, predispondendo un habitat più adatto all’uomo, egli si manifesta come benefattore.” (p.53)Salvatore Agneta, Il conte e la leggenda del drago, Collana i luoghi della memoria, Nicola Bruno Editore, 2003

Piu' in alto di Sant'Arcangelo esiste ancora una chiesa dove sono conservate le corna di un drago che infestava nei tempi antichi la regione. Tale drago abitava in una grotta vicino al fiume e riempiva le terre del suo fiato pestifero, rapiva le fanciulle, distruggeva i raccolti. I contadini avevano tentato di difendersi, ma non potevano far nulla contro quella bestiale potenza. Ridotti alla disperazione, pensarono, infine, di rivolgersi al piu' potente signore di quei luoghi: il Principe Colonna di Stigliano.Il Principe venne, tutto armato, sul suo cavallo; ando' alla grotta del drago e lo sfido' in battaglia. Ma la forza del mostro era immensa e la spada del Principe pareva impotente di fronte a lei. Ad un certo momento stava quasi per darsi alla fuga, quando gli apparve, vestita di azzurro, la Madonna che lo incoraggio' a proseguire la lotta. A questa visione l'ardimento del Principe si centuplico' e gli permise di avere la meglio.Bisognava ora ricompensare il Principe per il servizio reso. Si radunarono percio' gli abitanti di S.Arcangelo, reputati avari e astuti e dissero che dal momento che il dragoabitava nel fiume, era una bestia dell'acqua, il Principe doveva prendere in ricompensa il fiume e non le terre. L'Agri fu offerto al principe ed egli l'accetto'. I contadini credevano di aver fatto un buon affare e di aver cosi' ingannato il loro salvatore, ma avevano fatto male i loro conti, l'acqua dell'Agri serviva ad irrigare i loro campi e da allora bisogno' pagarla al Principe ed anche ai suoi discendenti.
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Forenza e la leggenda del Crocifisso

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La leggenda del SS. Crocifisso di Forenza (Pz) di Frate Angelo da Pietrafitta (dal sitoweb www.fondazionesassi.org) Il Santissimo Crocifisso di Forenza nella cultura popolare è soprattutto leggenda. Ed è proprio questo strascico di leggende legate alla suggestiva statua, che si giustificano tre secoli di ininterrotta devozione. La leggenda più inquietante è certamente quella legata a Fra' Angelo. Secondo questa lo scultore,dopo aver terminato il corpo della statua (di dimensioni poco più grandi del naturale), si accingeva a scolpire la testa. Ma, dopo aver provato e riprovato, non riusciva a modellarne una che fosse all'altezza della rappresentazione: il Cristo morente sulla Croce. Ormai stanco e per l'ora tarda, decise di coricarsi.Al mattino, rimuovendo il velo che copriva la statua, con grande stupore la trovò completa: un Angelo nella notte aveva portato dal cielo un volto ad immagine e somiglianza di Cristo.La leggenda in realtà si giustifica pienamente osservando la statua. Qualcosa di miracoloso si scorge osservando il volto da destra a sinistra: l'espressione di Gesù morto osservandolo sul lato destro, Gesù agonizzante guardandolo di fronte, Gesù sorridente nel particolare sinistro. Una seconda leggenda, meno nota ma tuttavia ben presente nella tradizione orale del posto, è legata ad una filastrocca ricordata dai più anziani: Frà Angelo che cade in un sonno profondo e nel sogno incontra Gesù il quale lo loda dicendo: "In cielo mi vedesti, in terra mi facesti". "Non abbiate paura, il tredicesimo Cristo si è fermato a Forenza! ". Così recita un altro antico detto, dal quale si può trarre una conferma alle fonti che vogliono il Crocifisso di Forenza tredicesimo ed ultimo dell'opera di Fra' Angelo. La frase è evidentemente legata alle catastrofi naturali cui il paese fu certamente soggetto nel tempo e come lo è ancora.Gli anziani probabilmente la raccontavano ai più giovani per rassicurarli: ché tanto il Crocifisso protegge da alluvioni, terremoti, frane. Proprio un terremoto vuole il Crocifisso protagonista della difesa del Convento (e più in generale del paese) in tempi più recenti. Infatti, all'arrivo degli alleati alla fine della seconda guerra mondiale, i tedeschi, accampati nel Convento, tentarono di sottrarre il Crocifisso dall'altare. Un terremoto (limitato alla sola chiesa!) si scatenò dalle fondamenta della chiesa e fece scappare i tedeschi i quali, impauriti, lasciarono di corsa il paese.N.B. Testo liberamente tratto dallo scritto di Flavio Orofino interamente consultabile sul sito www.utenti.tripod.it/forenza/crocifisso.htm -Collegandosi al sito: www.lucania.org Forenza è possibile effettuare una straordinaria visita virtuale tra il patrimonio d'arte e di fede che la chiesa del SS. Crocifisso custodisce.Bibliografia:Padre E.Giugno - Forenza usi, costumi, leggende - frammenti di storia locale Padre E.Giugno - Il Crocifisso di Forenza http://web.tiscali.it/santagnese/crocifissi_lucani.htm Share

Terra di Magia

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Una terra magica, arcaica impregnata di elementi tradizionali e popolari. Una terra in cui perduravano pratiche e credenze ancestrali di origine precristiane, cosi che da determinare un sincretismo magico- religioso. “Quest’altra ragione, che è tipica della civiltà contadina, noi la chiamiamo magia”. Il territorio offre un’articolata serie di ricerche, pubblicazioni, raccolte, distribuite in un reticolo sull’intera regione. Questa offerta delinea buona parte del territorio come nuclei significanti, che hanno generato narrazione ma che soprattutto possono produrne. La etteratura racconta una terra contenitore di elementi magici intuiti, le cui dinamiche sono accettate come stato di fatto; terra in cui i piani temporali sono ciclici o addirittura assenti, una terra in cui la mescolanza culturale ed etnica ha tratteggiato una serie di credenze magico-simboliche che le hanno conferito una atmosfera magica. Un’atmosfera che trasferita in narrazione ha strutturato una letteratura del real-meraviglioso lucano Si citano, ad esempio, alcune opere recenti di narrazione generato dal territorio: Ballo ad Agropinto, Giuseppe Lupo,Venezia , Marsilio Editore , 2004 Il padre degli animali, Di Consoli Andrea, Milano, Rizzoli, 2007 La strega di Colobraro, Petroni Giulio, Roma , Dalia, 2004 Mille anni che sto qui, Venezia Mariolina, Torino, Einaudi, 2006 Vito Ballava con le streghe, Sammartino Mimmo, Palermo,Sellerio Editore, 2004 Tra le diverse offerte turistiche che un territorio può offrire quelle imperniate sui beni immateriali sono tra quelle maggiormente evocative ma è anche quelle che necessitano di maggiori attenzioni e professionalità per essere costruite e organizzate. Il Turismo magico, legato alla magia di carattere popolare, sta acquistando forte richiamo e interesse, capace di poter confezionare un circuito turistico in grado di valorizzare l’intero territorio, citiamo ad esempio il tour nei "paesi delle streghe" sui Pirenei spagnoli, o dei castelli magici e incantati in Scozia. Può accadere anche in Basilicata? La magia può essere il volano per lo sfruttamento, in termini turistici, della sfera dell’immaginario legata al territorio. In un territorio in cui la dimensione magico–simbolica si percepiva un po’ ovunque le cui tracce non sono ormai tanto rintracciabili, vi è una località, Colobraro, in cui il fenomeno della magia popolare sembra non essersi esaurito. Il suo nome è associato alla magia e alla superstizione; il suo è un nome che non si può pronunciare e per indicarlo si usa :“quel paese” L’opera di De Martino “Sud e magia”, strappò alla tradizione orale molti aspetti di quella cultura popolare e documentò particolari riguardo alla fascinazione, al mondo della magia, ai rituali della superstizione e alle credenze popolari, certificandone quasi la fama di paese “magico-popolare”. A tale certificazione si sono aggiunti aneddoti sugli influssi negativi che accompagnavano il paese , fissati anche per iscritto sia da testimoni sia da altri, che hanno travalicato i confini regionali ed ha attirato l’’attenzione di tv e stampa. Da un contributo di Giuseppe Melillo http://www.basilicata.travel/?p=138 Share